Ho conosciuto Annemarie e Alighiero a Fregene a casa di Nino Dardi e Elisa Montessori in una giornata di sole del marzo 1978. Di lei mi colpì subito l’intelligenza dello sguardo mobilissimo e la femminilità discreta ma seducente. Poco tempo dopo la ritrovai in una galleria storica di Roma, La Salita, impegnata in un Pas de deux (così si chiamava il ciclo di mostre) critico con Giambattista Salerno e rimasi incantata dalla grazia della sua scrittura. Perché Annemarie era soprattutto questo, una scrittrice di rara qualità. Ricordo i suoi commenti divertiti su La dernière mode, la rivista che nel 1874 Stephane Mallarmé dirige e redige per 8 numeri, unico autore che, camuffato sotto pseudonimi femminili, firma tutte le rubriche, dal ricamo al giardinaggio. Annemarie ne cura nel 1979 la pubblicazione italiana per le Edizioni delle Donne, la casa editrice che ha fondato con Manuela Fraire, Elisabetta Rasy e Maria Caronìa nel 1974 e che resiste nella sua frizzante attività per otto anni, mentre anche grandi editori entrano in crisi. E’ la stagione del femminismo che Annemarie vive come avventura culturale. Ricordo un esilarante racconto di Alighiero bloccato in macchina da una manifestazione capitanata da Annemarie e dalle sue amiche.
E’ proprio con Annemarie che Alighiero porta a termine un’impresa impossibile: il libro d’artista I mille fiumi più lunghi del mondo. E’ una delle sue opere più significative, co-firmata da Annemarie: si tratta di una classificazione non univoca in cui la pulsione tassonomica che porta alla pratica della catalogazione viene continuamente smentita dai dati spesso diversificati riportati dai vari atlanti (Alessandra Mammì, aiutante di Annemarie in quell’occasione, testimonia di aver scritto a mano tante schedine per ogni fiume…). Così Alighiero e Annemarie con lui danno scacco all’occidentale pensiero logo-centrico.
Nonostante il loro sia stato uno straordinario sodalizio di vita e di lavoro (nonostante la loro separazione, o forse anche e proprio per quello, si trattava di qualcosa di molto più ampio di un matrimonio), Annemarie, che ora non c’è più, non va ricordata solo come la moglie di Alighiero (e madre del gallerista Matteo). E’ una preziosa figura d’intellettuale, scrittrice e arguto spirito critico (che ha dedicato i suoi testi anche ad altri artisti a partire da Carla Accardi fino a Donato Piccolo). Come direttrice dell’Archivio Boetti ha svolto un lavoro infaticabile con grandissimo impegno e dedizione. Anche questa, un’impresa quasi impossibile, resa ardua e complicata dalla metodologia e tipologia dell’opera multiforme di Alghiero. Ma si era rimboccata le maniche, circondata da giovani e valenti studiosi e in sintonia con il curatore del catalogo generale Jean-Christophe Amman. “Come catalogarla questa infinita e insistita apertura in avanti?” si chiedeva in un convegno sugli archivi “Dalle biro ai ricami rispetto a opere della stessa famiglia nessuna prevale e nessuna è minore. Si tratta di assecondare, il concetto centrale di proliferazione e questo ha guidato la scelta editoriale”. Nel 2001 esce uno tra i libri più belli su un artista che io abbia mai letto: Alighiero Boetti. “Shaman-Showman” firmato da Annemarie Sauzeau. E’ la dimostrazione che i libri (e le mostre) dovrebbero farle, fin quando ci sono, le persone più vicine agli artisti. Questo libro di “ricordi” (così si presenta, senza la pretesa di essere filologico e definitivo) dice di più sul lavoro di Alighiero di tutte le altre pubblicazioni su di lui e fornisce un’interpretazione critica più sottile, puntuale e attenta di molte altre. E’ costruito a modello di un muro. Quel muro a cui Alighiero fissava le immagini più disparate e che ha vita lunga accompagnandolo nelle diverse case. Anche le foto, nella disposizione ad album, contribuiscono a questa precisa chiave di lettura. Tra queste le immagini di Kabul e del One Hotel, l’albergo che Alighiero vi aveva aperto e di cui sempre parlava (la cassettina con le chiavi delle stanze lo accompagnava in ogni sua dimora a Roma, dove si era “rassegnato”, concordo con Annemarie, a vivere dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan). All’amato One Hotel, che Annemarie mi aveva detto di considerare quasi una performance, un’opera che rovesciava l’ottica (come al solito in Alighiero) dalla figura del viaggiatore a quella di colui che è lì e accoglie chi viaggia e passa, Annemarie ha dedicato un libretto uscito in occasione dell’ultima Documenta di Kassel. Infine Boetti A4, il libro scritto con l’amico Hans Ulrich Obrist che indaga il rapporto dell’artista con mezzi tecnici come fotocopie, Rank Xerox, Fax, A4, rotocalchi. In questo caso Annemarie evidenzia che Alighiero parte dall’analisi di Walter Benjamin sulla riproducibilità tecnica dell’immagine, ma risponde ribaltando la perdita dell’aura.
Ricordo ancora un viaggio a Venezia per la Biennale del 1980, io, Annemarie e Alighiero (e l’infantile entusiasmo del torinese Alighiero al momento del passaggio del Po). Arrivati a Venezia Alighiero scomparve per riapparire alla vigilia del vernissage. Voleva esporre Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969 ma qualcuno aveva fatto in modo che non arrivasse, così Annemarie fu spedita a cercare una farfalla, mentre io fui eletta assistente sul campo e passai buona parte della notte con lui alla fontanella dei Giardini a impastare palle di cemento per una copia da esposizione… Annemarie aveva un’acutezza critica, una finezza interpretativa straordinarie, ne è una prova, il suo voler seguire il filo del discorso segreto tra il primo e l’ultimo autoritratto di Boetti. Il primo è appunto Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969 fatto da 111 palle di cemento; l’ultimo è l’apparentemente veristica scultura in bronzo, progetto giovanile realizzato solo alla fine, quando è già malato, e che ha perciò qualcosa di altamente drammatico. “Mi mancava un concetto in mezzo” aveva detto Annemarie “La neve”. Sciogliersi come neve al sole è una delle sue frasi “quadrate” che aveva fatto ricamare come una nevicata in bianco su bianco. Chi è questo ragazzo impropriamente sdraiato al sole nel freddo gennaio torinese? Ma è un uomo di neve! risponde Annemarie che considera la scultura una specie di haiku (Boetti ama la cultura Zen giapponese e l’idea di un “tutto neutro”). Come nell’ultimo autoritratto su cui scorre incessantemente l’acqua, ha detto Annemarie, bisogna accettare di sciogliersi nel tempo…
Annemarie Sauzeau è scomparsa a Parigi ieri 25 settembre. Sarà ricordata dagli amatissimi figli Agata e Matteo nella sede della galleria Bibo’s Place a Todi sabato 4 ottobre alle 12. Io la ricorderò sempre bella ed elegantissima nel suo caftano bianco e nero mentre sale su un taxi davanti al ristorante La Campana…
Laura Cherubini