Lo sport trae origine dalle occupazioni alle quali l’uomo si dedicava per sopravvivere: la caccia, la lotta, la corsa e raggiunge la sua massima importanza con la civiltà greca. La televisione in tempi recenti ha contribuito a renderlo un fenomeno di massa, creando nuovi e simbolici significati e influenzando economia e società. Per questo legame inscindibile il linguaggio scelto è proprio il video. Lo spettatore viene accolto dalla videoinstallazione Zidane, un ritratto del XXI secolo, di Douglas Gordon e Philippe Parreno, che insinuando riflessioni nuove, mostra l’aspetto più umano ed emozionale di un’icona dello sport-spettacolo. Salendo si entra in uno spazio buio in cui, visibili tutti insieme, i video creano una sorta di mosaico di immagini in movimento tra le quali lo spettatore può muoversi liberamente, dotato di cuffie audio che si attivano avvicinandosi all’opera scelta. Gli artisti di diverse generazioni e nazionalità toccano svariati temi e punti di vista: Hilla Ben Ari e Annika Larsson mostrano la normalità di praticare lo sport nonostante l’handicap; Mark Bradford e Salla Tykkä il superamento delle discriminazioni di cultura, razza e genere, al contrario Nilbar Güres le loro diversità. Il tema sociale torna nel video di Paolo Canevari, nel quale l’infanzia incontra la crudeltà del mondo reale e di Robin Rhode che vede lo sport come possibile strumento di riscatto sociale. Ali Kazma, analizza il lato della spettacolarità; i video di Roman Signer e Guido Van Der Werve hanno invece un accento ironico e paradossale; Florian Slotawa, ambienta la sua corsa nei musei mentre Uri Tzaig costruisce un gioco infinito. Significati simbolici e riferimenti storici sono protagonisti dei video di Marzia Migliora e di Christian Jankowski. Infine le due opere di Stephen Dean e di Grazia Toderi osservano il punto di vista del pubblico.
Damaride D’Andrea