Sede: Palazzo Benzon, San Marco 3917, VeneziaCuratore: Okwui EnwezorArtisti: Rashid Rana (Pakistan) – Shilpa Gupta (India)Per l’evento collaterale alla Biennale di Venezia My east is your west, il pakistano Rashid Rana e l’indiana Shilpa Gupta realizzeranno opere site specific, guidati dal critico del curatore Okwui Enwezor, nell’ottica di “offrire al mondo una cassa di risonanza del mondo”; si è invitati a riflettere intorno al ruolo che le arti visive giocano nel rintracciare elementi di senso negli sconvolgimenti della nostra epoca. Il progetto nasce come un impulso utopico a ri-tracciare un complesso clima di relazioni storiche tra le due nazioni-stato sud-asiatiche di India e Pakistan, nella forma di una mostra che dia voce a due artisti contemporanei eccezionali.
La recente assegnazione del Premio Nobel per la Pace alla pakistana Malala Yousafzai e all’indiano Kailash Satyarthi conferma che è possibile superare storici conflitti e che nei due paesi può ancora prevalere il dialogo.
In anni recenti, non sono mancate teorie che hanno predetto una sorta di fine della Storia; allo stesso tempo, nella nostra ossessione di analizzare il passato mentre viviamo nel presente, incontriamo inevitabilmente la misteriosa tendenza della Storia a ripetersi – come in un “eterno ritorno”. Nel 1947, India e Pakistan intrapresero un percorso di contese e di scissioni, dopo aver sostenuto una comune storia di civilizzazione sviluppatasi per millenni. Mentre si giungeva all’assetto di oggi, si è verificato un simultaneo processo di cancellazione, segnato da un nazionalismo esplosivo promosso come prosecuzione della “chiamata alla libertà”. Più di dodici milioni di persone sono migrate rapidamente tra un’India frammentata e le regioni in espansione ai suoi confini a est e a ovest, il neonato Pakistan e quello che sarebbe poi diventato il Bangladesh. Mai prima d’allora ne era conseguita un’ondata tanto massiccia di morti e di sfollati quale conseguenza della battaglia di decolonizzazione.
Gli artisti si chiedono: “Come possiamo immaginare una storia tanto intollerabile del subcontinente ripartito, oggi?”. “Perché siamo fatti di linee…”, osservava il filosofo francese Gilles Deleuze. L’immaginazione artistica travalica i confini degli stati-nazione per rivelare linee di volo che sorgono dalla prossimità culturale e sociale, da una lingua comune immersa in relazioni ancestrali di ospitalità.
My East is your West invita gli artisti Shilpa Gupta di Mumbai (India) e Rashid Rana di Lahore (Pakistan) a dare forma a un duetto simbolico, lungo le linee condivise, o a un Jugalbandhi, come espresso nella musica classica induista.
Questo caratteristico intreccio su di una piattaforma condivisa, a Venezia, è premessa delle preoccupazioni comuni ai due artisti intorno al tempo e all’impulso archivistico; così come lo è il loro occuparsi della “quotidianità” come deposito di cultura visuale e di coscienza collettiva.
Con lavori che mettono in connessione ciò che si trova nella loro prossimità più immediata con alcune vivaci realtà intorno al globo, Gupta e Rana hanno sviluppato una estetica materiale che mette in discussione il moderno stato-nazione e le sue divisioni.
Il punto di partenza della rassegna muove da due citazioni degli artisti, provenienti dai due lati del confine: “Come si chiamerebbe se oggi fosse un unico paese?” – Rashid Rana, artista, Pakistan; “Ora tu sei sulla linea dove ieri sera ho tracciato il confine. Ma poiché oggi piove, risulta un po’ difficile vederla” – Shilpa Gupta, artista, India.
La mostra su India e Pakistan mira a configurarsi come “architettura della memoria” e a porre quesiti che muovono dall’antichità alla modernità coloniale, fino al presente conflittuale e cosmopolita del subcontinente. Qui, l’arte si esprime in forma narrativa, nella quale le perforazioni della Storia hanno evidenziato un abisso fondamentale.
Shilpa Gupta, Singing Cloud, 2008 – 2009
Rashid Rana afferma “Il mio lavoro è spesso una trattativa su tre fronti tra me stesso, il contesto fisico che mi circonda e quanto io ne ricevo – che siano Internet, i libri, la Storia o il sapere collettivo”.
Il nuovo corpo di lavori di Rashid Rana si inserisce nelle stanze di Palazzo Benzon come un setting immersivo dove le strutture architettoniche si combinano con film, stampe, sculture e elementi ispirati a performance. Intessendoli insieme quali capitoli di una singola narrazione, l’artista passa dai suoi iconici fotomontaggi digitali su due dimensioni a un metodo topografico che prende in esame la percezione collettiva di collocamento e dislocazione. Partendo da una stanza che è allestita come facsimile o doppio, i visitatori sperimenteranno una perturbante sensazione di immersione in un “altrove”.
Qui, l’uso tutto personale dei pixel da parte di Rana e il suo impegno nell’ampliamento di un archivio di immagini fotografiche e in movimento agiscono quali segnali dei frammenti contenuti in ciò che è universale.
Proseguendo, l’artista amplierà le sue Crowd Series (2013) su base stampata che creano insiemi di scatti documentari di raduni di massa intesi quale comune “palcoscenico pubblico”. Una folla guidata verrà filmata in Pakistan e connessa mimeticamente con l’attuale inquietudine politica sulle strade di Islamabad, Lahore e Karachi. Tali sequenze filmate verranno allestite in mostra con proiezioni a grandezza naturale, spesso creando un cortocircuito tra recitazione e non-recitazione. Verranno inframmezzate rappresentazioni di notiziari e di reality-tv, di cinema-verità e di prospettive aeree. Attraverso ulteriori rispecchiamenti, attraverso le riprese in diretta di un campo a Venezia e la presenza di attori all’interno della sala espositiva, Rana concepirà una scenografia sfaccettata, chiamando in causa la nozione di “corpi in allineamento” e un archivio vivente quale carne del tempo.
L’intricato gioco dell’artista si muove tra sfaccettature di luoghi, non-luoghi e collocamenti e si riflette in una sorta di delirio di micro-narrazioni di luoghi specifici e di appartenenze transnazionali.
I lavori di Shilpa Gupta a Palazzo Benzon proseguono nella linea di ricerca dell’artista intorno all’area di confine tra India e Bangladesh, presentando performance, stampe e sculture. L’artista esporrà lavori recenti che esaminano ampiamente il potenziale di re-immaginazione e di rifiuto attraverso narrazioni storiche.
1: 989.9.3,360 kms of fence under construction, East (2014-15) è un’installazione che si fonda su una performance che accompagnerà l’anteprima e l’inaugurazione della mostra. L’opera si basa sulla barriera in costruzione tra India Orientale e Bangladesh. Una volta completata, essa circonderà il Bangladesh e sarà la più lunga barriera di separazione del mondo. Nella performance, Gupta sincronizza la missione giornaliera di un soldato sul luogo in cui si erige questa barriera con quella di un performer seduto nella sala espositiva e intento a cucire una linea infinita su di un tessuto fatto a mano nel Bangladesh. Sistemato su di un lungo tavolo, il tessuto di 3,394 metri è il risultato di un lavoro di sei mesi svoltosi a Phulia, città di confine situata tra le due nazioni, nota per il commercio di telai fatti a mano, poi dislocati dopo la partizione del territorio.
In 24:00:01 (2012-14), l’artista presenta un’installazione cinetica che consiste di frammenti testuali composti su di un cartellone frammentato, una sorta di dispositivo per l’informazione obsoleto e tuttavia onnipresente, di quelli che si vedono in aeroporti e stazioni ferroviarie, il quale simbolizza le intersezioni tra lingua, migrazione e territorio. Il testo di Gupta è scritto in prima persona e proietta una tensione tra il “tempo reale” e il regno sperimentale della memoria personale. Di fatto, tutto ciò avviene trasformando una parte dello spazio espositivo in una sala d’attesa che traccia il nostro vivere quotidiano di transiti senza fine.
Nel suo lavoro Speaking Wall (2013-14), Gupta concepisce un’installazione sonora interattiva che conduce il visitatore verso specifiche traiettorie di movimento lungo uno stretto sentiero composto di mattoni. Attraverso l’uso dei sensi motori e del gioco di ruolo, l’artista crea una dimensione alienante che conduce a un complesso senso di non appartenenza, di divisione del suolo terreno.
Gupta creerà inoltre un’installazione luminosa animata, intitolata My East is your West (2014-15), instaurando un dialogo con la facciata architettonica di Palazzo Benzon. Quest’opera intende riflettere sull’impatto che il condizionamento culturale e politico opera nell’orientare le nostre relazioni a seconda degli emisferi geografici.