Talvolta l’eccessiva sintesi di un titolo può risultare fuorviante rispetto ai contenuti di una mostra. Nel caso dell’antologica di Joan Jonas all’Hangar Bicocca, a cura di Andrea Lissoni, la scelta di “Light Time Tales” si rivela invece felicemente adatta alla restituzione della densità e complessità dell’opera pioneristica di questa eccezionale artista. Instancabile sperimentatrice, a partire dagli anni Sessanta, Joan Jonas (New York, 1936) codifica una grammatica i cui elementi fondativi, luce, tempo e narrazioni, appunto, concorrono a una costante investigazione dei rapporti tra le diverse discipline — disegno, scultura danza, cinema, teatro, musica e letteratura — e a un attraversamento delle stesse, in un’ottica di compresenza e reciproco scambio e dialogo.
Tra le prime artiste donne a utilizzare il video accanto alla performance, con le sue opere seminali la Jonas ha contribuito allo sviluppo e ridefinizione di questa pratica in senso mediale, sempre con un approccio critico e consapevole al mezzo tecnico. La mostra all’Hangar Bicocca raccoglie per la prima volta in Italia i suoi più importanti lavori, installazioni e video monocanale, allestiti con stringente precisione: da Wind (1968) a Mirage (1976/1994/2005) da Lines in the Sand (2002) a The Shape, the Scent, the Feel of Things (2004/2007), per arrivare a Beautiful Dog (2014), nuovo video appositamente prodotto. Immagini, voci, strumenti, musiche e rumori plasmano lo spazio espositivo originando una messa in scena immersiva. Monumentale e, al contempo, intima. Intensa e, al contempo, delicata e romantica.
In un continuo scivolamento fra onirico e reale, fra passato e presente, lungo il percorso espositivo ricorrono tutti i topoi cari all’artista americana: l’esplorazione dell’identità della donna, l’indagine delle relazioni tra il corpo e la sua rappresentazione, la strenua difesa dello spirituale nella natura, la scoperta della magia del quotidiano, l’analisi di forme e modalità della comunicazione (dalla gestualità alla parola) per rivelarne i meccanismi sottesi. Con il suo intrecciare riferimenti altissimi — da Dante a Freud, da Dürer a Warburg — a elementi autobiografici come il punto di vista del suo cane Ozu, Joan Jonas costruisce immaginari stratificati intrisi di miti e riti, memorie e ricordi personali. Toccando il particolare come l’universale.
by Damiano Gullì