“I quadri ch’Ella ha visto da me al Maloja erano poco più che abbozzati, ed è per questo che Le è rimasta l’impressione di grossi fili, impressione che scompare assolutamente quando sono finiti” (G. Segantini, “Lettera a ignoto”, in Scritti e lettere). Purtroppo non si conoscono documentazioni visive dei lavori di Segantini nella loro fase intermedia di lavorazione, ma la loro descrizione letteraria può bastare a ricordare i quadri che Billy Childish ha presentato per la sua prima personale in Italia. Artista tra i più eclettici della sua generazione, Childish è considerato da Peter Doig “una delle figure più importanti, e spesso frainteso, del panorama artistico britannico”, probabilmente per la sua estrema libertà creativa che anima la sua vasta e variegata attività musicale e letteraria.
Ma la libertà può essere ingenua come nella maggioranza dei casi o consapevole come la sua. Le opere di questa mostra, che scandiscono lo spazio sia in orizzontale sia in verticale, manifestano un indubbio rispetto per l’artista trentino e, più che citarlo con un’attitudine postmoderna, si limitano a evocarlo in modo delicato e personale. Sono omaggi diretti, come il grande paesaggio a lui dedicato, e indiretti, con soggetti che rimandano comunque a un mondo cristallizzato dalla neve e dalla forza del gelo che riesce a fermare il tempo. Ma Childish non fa riferimento solo ai contesti e alle ampie prospettive del paesaggio, riflette anche sulla tecnica pittorica. Anzi sull’attitudine che bisogna avere nei suoi confronti, specie se è la propria. Quello che ha distinto Segantini è avere preferito spesso le licenze della suggestione ai dogmi della precisione divisionista, tipici di un Longoni, per esempio. Tant’è che molte delle sue opere più famose rientrano a stento negli stilemi propri del movimento. Questa libertà ha origine da un metodo assimilato, ed è questa forse la chiave di lettura per avvicinare i due artisti, senza forzature storiche o stilistiche. Anche l’artista inglese, infatti, si considera un “tradizionalista radicale” e vede in questa tradizione una “piattaforma per la libertà”. In fondo, nelle opere di Childish, ci troviamo a osservare una pittura che aspira a una professionalità che non afferra, a causa di un’onestà intellettuale che finisce per diventare il maggior pregio in assoluto di tutto il suo processo creativo.
Ogni pennellata sembra così colmare più gli spazi mentali dell’artista che la tela grezza del quadro e i colori rivelano tutta la distanza che passa tra questi due luoghi metafisici.
by Angelo Sarleti