Chris Ofili al New Museum New York

12 Giugno 2015
Chris Ofili, Afronirvana, 2002. Olio, acrilico, poliestere, resina, alluminio, sterco su tela, 274,3 x 365,7 cm. © Chris Ofili. Courtesy David Zwirner, New York / Londra e Victoria Miro, Londra
Chris Ofili, Afronirvana, 2002. Olio, acrilico, poliestere, resina, alluminio, sterco su tela, 274,3 x 365,7 cm. © Chris Ofili. Courtesy David Zwirner, New York / Londra e Victoria Miro, Londra

Non solo pitture ma oggetti e sculture, icone totemiche che creano un fiume di energia che attraversa questa personale calma, voluttuosa e ricca di sorprese, come la sala decorata dai professionisti di Broadway in collaborazione con l’artista.   Puoi andarci con in testa le parole che usò l’allora sindaco di New York Rudolph Giuliani (“sick and disgusting”) e tirare dritto fino all’opera incriminata più di 15 anni or sono, The Holy Virgin Mary (1996) e chiederti se lo scandalo stia più nella Madonna di colore, nella cacca di elefante usata come decoro e piedistallo della tela, o nel collage di fondoschiena etnici nell’atto dell’accoppiamento tratti da riviste non proprio parrocchiali.

Oppure puoi andarci in versione un po’ rasta: felpa oversize, cuffiette con i Wu-Tang Clan, e cominciare a godere ancora prima di entrare al New Museum degli Afro Margin, disegni afro così chic da ricoprire gli ampi ingressi a vetrata, e svolazzare morbidi fino ad atterrare su un abito disegnato dall’artista e in vendita nello shop del museo. Puoi vederla da connoisseur, come se guardassi il Tiziano alla National Gallery di Londra che ritrae Diana e Atteone da Le Metamorfosi di Ovidio, cercando nella pittura figurativa il passaggio tra l’umano e il divino.

Puoi andarci come un adolescente e seguire le avventure di Captain Shit and the Legend of the Black Stars o The Naked Spirit of Captain Shit (1998), il personaggio creato da Ofili, metà supereroe e metà musicista, circondato da una folla di fan adoranti.

Oppure lasciarsi guidare dal titolo della mostra, e tra le tele Blue Devils (2014) che ritraggono i minacciosi personaggi del carnevale di Panamin (città del Trinidad) coperti di pigmento blu, vivere il passaggio dalle tenebre alla luce, dalla notte al giorno.

Spesso associato a Jean-Michel Basquiat per l’orgoglio black, a Piero Manzoni per la merda d’artista, a Gabriel Orozco per i numerosi rimandi transculturali, le opere realizzate in due decenni da Chris Ofili (vincitore del Turner Prize nel 1998 e artista invitato a rappresentare la Gran Bretagna alla Biennale del 2003) appaiono stranamente contraddittorie: nella grigia Inghilterra ha dipinto brillanti motivi floreali, nell’isola di Trinidad, dove vive dal 2005, i suoi soggetti sono invece diventati scuri. Le sue categorie sono in costante mutazione; hip hop e poesia latina, cultura cosmopolita e pitture rupestri, dimensione terrena e spiritualità. In che cosa è ancora un Young British Artist, Chris Ofili 17 anni dopo?  Pur essendo l’unico della gang di “Sensation” (la mostra del 1997 che lo rese celebre a livello internazionale) a battere bandiera Afro green, Ofili condivide con il vecchio gruppo talento, curiosità, autoironia e un po’ di quel potere sciamanico in grado di trasformare la merda in oro. 

by Alessandra Galletta

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