Gillo Dorfles Essere nel tempo

1 Dicembre 2015
Gillo Dorfles, Milano 1966. Foto: Ugo Mulas. Courtesy Eredi Ugo Mulas
Gillo Dorfles, Milano 1966. Foto: Ugo Mulas. Courtesy Eredi Ugo Mulas

Gillo Dorfles (1910, Trieste), scrive Luigi Sansone nel neo-edito Gillo Dorfles – Gli artisti che ho incontrato, pubblicato a ottobre da Skira, ha sempre rivolto la sua attenzione soprattutto verso artisti che si sono dedicati, sia nel passato che nel presente a ricerche di nuove forme espressive di carattere tecnico ed estetico nel dar vita alle loro creazioni, ritenendo la vera arte un’interprete diretta dello spirito del proprio tempo che si evolve e si arricchisce in un continuo adeguamento alla realtà del vivere.

Seguendo i passaggi di questa evoluzione, il 27 novembre ha inaugurato a Roma, al MACRO – Museo d’Arte Contemporanea, Essere nel tempo a cura di Achille Bonito Oliva. Si tratta della prima antologica estesa a rendere omaggio all’opera totale dell’artista e del critico, in relazione con la plasticità del tempo. Del tempo interiore dell’immaginario a stretto contatto con i tempi esteriori del mondo, della propria epoca e degli attraversamenti che hanno interessato i suoi attuali centocinque anni.

Saranno esposte oltre cento opere, alcune delle quali presentate per la prima volta: dipinti, disegni e opere grafiche, ma anche una selezione di ceramiche e gioielli. Un inedito percorso attraverso le creazioni più recenti, inclusi tre dipinti inediti realizzati nell’estate 2015, fino alla fondazione del Movimento di Arte Concreta, del quale sono stati selezionati anche documenti originali e cataloghi storici delle prime esposizioni, fino agli esordi giovanili degli anni Trenta.

Due saranno le sezioni aggiuntive al percorso: Istantanee, contenente il repertorio fotografico e un corpo inedito dei carteggi che testimoniano il dialogo, l’amicizia e le affinità elettive di Dorfles con alcuni degli artisti e intellettuali più significativi del Novecento. E Previsioni del tempo, sezione intitolata allo sguardo lungimirante di Dorfles che ha sempre saputo avvistare il domani. Inoltre citazioni tratte dalla produzione saggistica (Kitsch e fenomenologia del cattivo gusto, architettura e design, musica e teatro, sistema dell’informazione, moda e costume), si affiancheranno a contributi iconografici, filmati inediti e di repertorio (in collaborazione con RAI Direzione Teche), documentano la vastità di: critica d’arte, estetica, filosofia dell’arte, psicologia e sociologia approfonditi dalla multi-linearità di un essere del tempo come, per l’appunto, Gillo Dorfles.

Ginevra Bria: Nella sua formazione giovanile, quando ha cominciato ad avvicinarsi, ad appassionarsi a spingersi verso l’arte e attraverso chi? Quale figura, quale maestro l’ha sempre ispirato?

Gillo Dorfles: Io mi son sempre interessato alla pittura fin da quando ero bambino poi a un certo punto ho cominciato ad avvicinarmi sempre più prettamente a essa. Comunque io ho avuto maestri solo alle elementari, da quel periodo in poi non ho più avuto nessun maestro e non intendo diventarlo, o esserlo neppure io.

GB: Riguardo alla sua prima antologica che inaugurerà a Roma, tra due settimane, Essere nel tempo, quale definizione di tempo e quale quella di uomo verrà data attraverso i suoi lavori?

GD: Come si può notare il mio rapporto con il tempo, fino ad adesso, è stato conciliante. Ovviamente va peggiorando ogni giorno di più, perché più il tempo passa e meno mi resta da vivere. La mostra di Roma comprende tutto il mio lavoro, dal 1930 fino a oggi, e credo che sarà un vero e proprio pericolo, anche se mi auguro non lo sia. Per chiunque, quella mostra potrebbe rappresentare un pericolo. Ma soprattutto per me, come uomo, infatti è la prima volta che espongo e mi espongo, attraverso i miei lavori, in maniera così massiccia. Ritengo dunque sia pericoloso per me, prima di tutto, più che per gli altri; perché i giovani hanno tutta la vita davanti per cambiare, io purtroppo non so se sarò in grado di cambiare, nemmeno, forse, in extremis.

Gillo Dorfles, Composizione con cresta, 1949
Gillo Dorfles, Composizione con cresta, 1949

GB: Lo spazio, invece, il vuoto, come verrà trattato?

GD: Il vuoto è un argomento enorme che occupa tutta la filosofia Zen. Si potrebbe parlarne per ore e ore. Nel mio libro L’intervallo perduto (Einaudi 1980) affronto l’ipotesi che l’uomo dell’antichità più remota fosse posto di fronte a una situazione del tutto opposta a quella odierna, quella cioè di un immenso spazio-tempo da colmare, è altrettanto vero che l’uomo d’oggi è talmente lontano da una simile situazione da non poterla quasi immaginare, sicché il suo atteggiamento attuale dovrebbe essere, anche se spesso non lo è, quello di odio, timore, rifiuto di questa sovrabbondanza appunto di troppe immagini, troppi oggetti, troppo rumore. Naturalmente, però, nell’arte, se c’è il vuoto non c’è la pittura. Comunque riuscire a dipingere il vuoto credo sia una delle massime aspirazioni per uno addetto allo Zen. Ma siccome io non sono addetto allo Zen, non mi appassiona dipingere il vuoto.

GB: Come verrà sottolineata, in questo percorso, la sua carriera nel mondo dell’insegnamento? È stato addirittura in prigione, a San Vittore a trovare i suoi studenti maggiormente reazionari alla fine degli anni Sessanta…

GD: Io ho insegnato come ordinario di Estetica per moltissimi anni a Milano, a Trieste a Cagliari. Sono stato professore per tutta la vita. Ma a me interessa molto anche dipingere. Appena ho terminato con l’insegnamento ho potuto finalmente dedicarmi alla pittura. La mostra a Roma racconterà, piuttosto, questo aspetto. Comunque, purtroppo l’educazione artistica nelle scuole elementari e medie è piuttosto scarsa. E l’arte è in un momento molto difficile, quindi deve appoggiarsi soprattutto al mercato. Per cui accade che alle volte non si sostengano le opere di alcuni artisti meno noti e si punti soprattutto su quelli che si sono appoggiati al mercato. Naturalmente alla base di tutto questo c’è l’istruzione. Io ho sempre cercato di fare quel che ho potuto con gli studenti e sono andato in prigione, a San Vittore, a trovare chi era stato arrestato solo perché aveva contestato. Mi era sembrato un gesto di solidarietà.

GB: Tra amicizia e affinità elettive, con alcuni degli artisti e intellettuali più significativi del Novecento, qual è stata la persona che l’ha incuriosita di più e le ha maggiormente aperto la mente?

GD: Un solo nome è impossibile da fare, perché poi tutti gli altri sarebbero indignati. Non posso parlare di un solo artista. Comunque ho incontrato soprattutto dei grandi personaggi del mondo dell’architettura come Lloyd Wright, Mies van der Rohe, Renzo Piano. Ho incontrato anche Montale, ero molto amico di Saba e Italo Svevo, senza dimenticare pittori come Lucio Fontana o Fausto Melotti. Quest’ultimo coltivava un grande amore per la cultura, la musica colta, era un artista completo. Inoltre ho conosciuto anche il grande psicologo dell’arte e gestaltista Rudolf Arnheim. Sono stati tutti, o quasi, incontri molto fruttuosi per me. Forse oggi tutti gli amici più cari sono morti. Bruno Munari era uno di questi, era una persona davvero affabile, era un uomo molto simpatico. Andavo spesso nel suo studio, così pieno di oggetti, forme e materiali curiosi.

GB: Tra dipinti, disegni e opere grafiche, ma anche una selezione di ceramiche e gioielli, quale il medium artistico che le appartiene di più?

GD: Basta vedere i miei quadri per intravedere il medium che più mi appartiene e il mio metodo espressivo, molto elementare. Non faccio altro che dipingere soprattutto su tela, con colori specialmente acrilici. Poi, in realtà, quello che si fa con la parola non si fa con il colore, ma la creatività è sempre la stessa. Tanto quando uno scrive una poesia quanto nel momento in cui uno pubblica una sinfonia si tratta sempre della stessa forza vitale, ammesso che ci sia. Se poi questa forza viene meno, allora non si può fare a meno di notare, sempre più spesso, notevoli buchi nell’acqua. Ho sempre avuto verso l’arte, verso le forme creative un interesse unito a una base psicologica, diversamente da un approccio esclusivamente filosofico. Nelle mie ricerche estetiche l’aspetto psicologico e antropologico è sempre stato dominante.

GB: Diventando artista, come è cambiato, nel corso degli anni il proprio sguardo critico nei confronti del mondo dell’arte?

GD: Il rapporto che ho avuto con l’arte, fin da piccolo, credo non sia cambiato affatto. Ho sempre avuto molta curiosità, sia per l’arte creativa che per quella fruitiva. Il mio rapporto è costante, salvo trovarmi di fronte a arte negativa e allora naturalmente il mio è un disprezzo invece che un’ammirazione. Che poi io abbia sempre dipinto, fatto il critico, il professore universitario, e abbia cercato anche di praticare degli sport, ha certamente danneggiato ognuna di queste discipline. Comunque non mi interessa, l’importante per me era divertirmi, fare quel che mi interessava, senza dover necessariamente eccellere.

Gillo Dorfles, Composizione turchese, 1955
Gillo Dorfles, Composizione turchese, 1955

GB: Lei ha affermato che oggi esiste un gusto diffuso, nei confronti della bellezza o dei suoi contrari. In che cosa consiste?

GD: Quando c’è diffusione è perché naturalmente sussiste una differenziazione enorme tra prodotto e prodotto, quindi anche la propria fruizione è diversa. È la cultura di massa che ha cambiato l’atteggiamento dell’uomo della strada verso un mondo che fino ad allora gli era precluso. Ma quando vi è mancanza interiore di gusto estetico e curiosità intellettuale, in determinati ambienti, seppur in maniera distorta, si riesce a vedere come sia penetrata l’idea di un gusto mediocre e di un certo non-gusto.

GB: Una volta lei ha rimarcato: io non detesto niente, altrimenti a quest’ora me ne sarei andato. Quale dunque un consiglio che si sente di dare ad ogni giovane artista, oggi?

GD: Non sono in grado di dare consigli, ma solo di riceverne. Comunque ho sempre cercato di aprirmi ai giovani anche alle ultimissime tendenze artistiche. Credo che questa cosa sia fondamentale. Uno degli errori dell’educazione media e anche superiore è di basarsi sempre sull’antichità, il che naturalmente è fondamentale, ma spesso i ragazzi non sanno niente dell’arte contemporanea.

GB: Come le nuove tecnologie ci hanno fatto perdere la verginità dell’immagine, della sua scoperta e della sua contemplazione?

GD: Io sono assolutamente a favore. Oggi abbiamo una quantità di opere d’arte che possiamo leggere e vedere in pochissimo tempo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione: dalla televisione al computer. Naturalmente restano su livelli diversi la pittura, così come la fotografia, così come la videoarte, discipline che attraverso i nuovi media riflettono, amplificano diversamente i campi percettivi stimolati. Ho fiducia nell’innovazione, a non possiamo rifiutare i mass media, però dobbiamo prestare attenzione a non diventarne schiavi. Perché a volte le nuove tecnologie fanno perdere purezza all’immagine, altre volte l’amplificano. Le nostre capacità di memoria e i nostri sensi sono certo grandissimo, ma hanno un limite. Inoltre, seppur necessario per la nostra sopravvivenza, questi sono destinate a ottundersi per l’eccesso di stimolazioni cui sono sottoposte.

GB: Qual è la sua definizione oggi di autenticità, di originalità – contro la contraffazione?

GD: Come appena citato, internet è uno dei tanti mezzi di espressione della comunicazione, ciò non toglie che l’arte autentica si esprima direttamente e non attraverso questi mezzi artificiali; a cominciare dalla fotografia stessa. Tutto quello che avviene attraverso la tecnica e la tecnologia è una forma sussidiaria, non autentica di espressione artistica. Quel che è autentico è una dimensione che si verifica senza intermediazione tra chi crea l’arte e la sua espressione, non attraverso mezzi di massa o stratagemmi tecnologici. Per me, comunque, l’originale è quello che prima non era esistito. Oggi come ieri ci sono idee artistiche che prima non esistevano, quindi considero positivamente originali quelli che sappiano raccontare il nuovo, o attraverso il colore, oppure attraverso qualsiasi mezzo. Comunque può esistere, allo stesso tempo, l’originale buono e quello cattivo. Molto spesso l’arte d’oggi è originale cattiva, dunque kitsch.

GB: Potrebbe esprimere un augurio, un pensiero che accompagni i visitatori a questa mostra?

GD: Mi auguro che resteranno impressionati da quel che vedranno; mi auguro che di fronte a queste opere trovino qualcosa di mai visto prima. Non so quale pubblico sarà interessato, purtroppo è sempre difficile accontentare i tanti pubblici che esistono, ma siccome le persone che mi conoscono appartengono soprattutto all’ambiente artistico e architettonico, spero che almeno loro saranno invogliati. Comunque, per questa mostra, da parte mia c’è un’aspettativa notevole, da parte degli altri ancora non so.

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