Les Rencontres de la Photographie Arles 2016

20 Luglio 2016

È appena terminata la settimana di apertura dei Rencontres di Arles, uno dei più prestigiosi festival di fotografia internazionali che ogni anno concentra nel sud della Francia una delle combinazioni più riuscite e interessanti di fotografia documentaria e artistica, performance, installazioni e photobooks. Questa edizione, la seconda sotto la direzione di Sam Stourdzé, si confronta con il tema dell’Altro in tutte le sue declinazioni: il diverso, l’oppresso, l’eccentrico, l’emarginato, il non-umano – e lo fa con una delicatezza, un’originalità e una ricerca di qualità davvero uniche nel panorama di festival fotografici internazionali. Tenendo presente questo fil rouge abbiamo selezionato 10 mostre da non perdere nel ricchissimo programma del festival (le cui esposizioni durano fino al 25 settembre 2016).

Laia Abril, “Museum of contraception and Abortion, Vienna, Austria, August", 2015. Courtesy of the artist / INSTITUTE.
Laia Abril, “Museum of contraception and Abortion, Vienna, Austria, August”, 2015. Courtesy of the artist / INSTITUTE.

Laia Abril – A History Of Misogyny, Chapter One: On Abortion

A un primo sguardo la mostra di Laia Abril (Spagna, 1986) può sembrare fredda, clinica: immagini prevalentemente in bianco e nero, grafica essenziale, linee pulite. Poi inizi a guardare meglio – e a leggere. E ognuna di quelle immagini colpisce come un pugno nello stomaco. Laia Abril è un’artista, editor e book maker spagnola che da sempre si occupa delle “realtà scomode”, di quel rimosso collettivo della società occidentale che va dai disordini alimentari (A Bad Day, Thinspiration, The Epilogue) alle giovani coppie disoccupate che per guadagnare qualche centinaia di euro performano svogliati atti sessuali davanti a una webcam (Tediousphilla). Con On Abortion, a oggi il suo lavoro più complesso, Laia investiga lo stigma e le difficoltà che le donne devono affrontare ancora oggi per avere accesso a pratiche di aborto legali e sicure: dagli Stati Uniti, dove si rischia di essere accusate di feticidio, alla Polonia dove una donne malate terminali di cancro o a rischio di deterioramento irreparabile della vista possono vedersi negare l’interruzione di gravidanza, fino al Nicaragua dove l’aborto è vietato in qualsiasi circostanza e quindi una bambina stuprata dal padre si trova costretta a partorire, l’inchiesta di Abril procede per incursioni nel passato e squarci su realtà contemporanee poco conosciute costruendo un quadro che difficilmente lascerà lo spettatore indifferente.

Peter Helles Eriksen, Sara Brincher Galbiati e Tobias Selnaes Markusson, “Relais routier pour extraterrestres”
Peter Helles Eriksen, Sara Brincher Galbiati e Tobias Selnaes Markusson, “Relais routier pour extraterrestres”

Peter Helles Eriksen, Sara Brincher Galbiati e Tobias Selnaes Markusson – Phenomena, A Close Encounter With A Reality of Aliens and Ufos

“Nell’universo osservabile ci sono più di cento miliardi di galassie. La nostra galassia, la Via Lattea, contiene cento miliardi di pianeti. La terra è uno di essi” [TdA]  Peter Helles Eriksen (Danimarca 1984), Sara Brincher Galbiati (Danimarca, 1981) e Tobias Selnaes Markusson (Danimarca, 1982) applicano un approccio antropologico al fenomeno degli UFO: tra interviste a scienziati, giornalisti e ufologi amatoriali, incursioni in associazioni di persone convinte di essere state rapite dagli alieni e una raccolta meticolosa di materiali che vanno da documenti ufficiali firmati dal presidente degli Stati Uniti d’America alle fotografie dei pezzi di metallo trovati a Roswell, Eriksen, Galbiati e Markusson costruiscono una tassonomia per immagini di uno dei più potenti sistemi di credenze della modernità.

Yann Gross, “Jaguar”, 2015. Courtesy of the artist
Yann Gross, “Jaguar”, 2015. Courtesy of the artist

Yann Gross – The Jungle Show

Con The Jungle Show Yann Gross (Svizzera, 1981) ci trasporta in un viaggio esplorativo nell’Amazzonia contemporanea, un luogo che probabilmente ha perso l’aura mitologica delle classiche rappresentazioni occidentali – in cui evoca il selvaggio e l’esotico per eccellenza – ma che non manca di sorprendere: troveremo per esempio bambine che vengono chiamate con il nome di un antibiotico, insegnanti che portano con fierezza il nome “Hitler” o concorsi di bellezza estemporanei in cui la reginetta riceve in premio un intervento di chirurgia plastica. Con un mix di ritratti e di staged photo che campeggiano nella penombra da una moltidudine di lightbox retroilluminati, il fotografo svizzero dà vita al libro vincitore del Luma Rencontres Dummy Book Award 2015 con una delle installazioni più suggestive di questa edizione.

George Pal, “7 Faces of Dr. Lao”, 1964. Courtesy of the MGM
George Pal, “7 Faces of Dr. Lao”, 1964. Courtesy of the MGM

Scary Monsters!

Un vero e proprio bestiario contemporaneo: i curatori Marc Atallah e Fredéric Jaccaud ci accompagnano in una panoramica visuale del mostruoso e del transumano nel cinema: dalle creature leggendarie, alle escursioni stile uncanny-valley nei territori dei primati fino agli immancabili classici – alieni, zombie, vampiri e dinosauri – Scary Monsters! riesce a tenere assieme perfettamente il puro intrattenimento visivo con la domanda sottesa in ogni sezione dell’esposizione: se questo è il “mostruoso”, l’umano cos’è? E sono poi così diversi?

Hara Kiri, “Drunk Bison”, 1978. Photographer: Alain Beauvais. Courtesy of Collection Marc Bruckert & Thomas Mailaender
Hara Kiri, “Drunk Bison”, 1978. Photographer: Alain Beauvais. Courtesy of Collection Marc Bruckert & Thomas Mailaender

Hara Kiri

Thomas Mailaender e Marc Bruckert curano forse la mostra più estrema di questo Rencontres – estremamente scorretta, estremamente dissacrante, estremamente divertente: la retrospettiva del giornale satirico francese Hara Kiri. Dal 1960 al 1985 Hara Kiri ha continuato a produrre immagini oltraggiose che rompevano ogni schema – visuale e morale -, inaugurando un proprio stile riconoscibilissimo che, visto con gli occhi di oggi, appare di una modernità sconcertante, precursore indipendente di tutto un filone oggi decisamente più mainstream che passa dai memi della cultura web fino ai lavori del duo ToiletPaper.

Piero Martinello, “Giovanni, Chiuppano”. Courtesy of the artist and Luz
Piero Martinello, “Giovanni, Chiuppano”. Courtesy of the artist and Luz

Piero Martinello – Radicalia

, fotografo ritrattista con alle spalle una residenza a Fabrica, espone Radicalia, il progetto con il quale nel 2015 si era aggiudicato sempre a Arles il Photo Folio Review. In mostra troviamo i volti dei protagonisti dell’omonimo libro autoprodotto: eccentrici personaggi di paese, folli, devoti, mafiosi, suore di clausura e frequentatori di raves, persone che hanno abbracciato, deliberatamente o inconsapevolmente, forme di vita che deviano dalla norma. Martinello si interroga sul concetto di radicalità e sul valore della tradizione in un viaggio di scoperta attraverso l’Italia.

Ruth van Beek, “The Levitators”. Courtesy of the artist
Ruth van Beek, “The Levitators”. Courtesy of the artist

Fabulous Failures

L’esposizione curata da Erik Kessels (Paesi Bassi, 1966) potrebbe essere l’emanazione visuale di Failed it!, il libro che ha recentemente pubblicato per Phaidon. Ad attendere il visitatore un caleidoscopio di progetti artistici che utilizzano la fotografia in modo trasversale, spingendola fino ai propri limiti: dai puzzle di Kent Rogowski alle immagini accartocciate di Ruth Van Beek, dai malfunzionamenti tecnici di Joachim Schmid, abbracciati come improvvisazione artistica, fino alle installazioni sardoniche di Thomas Mailaender, Kessels ci presenta un tripudio di piccoli e grandi fallimenti, voluti e casuali. Una sfida all’ossessione per la perfezione che contraddistingue l’arte contemporanea e una celebrazione dell’errore come possibilità.

French war prisoners in the Königsbrück German camp, note on back: «Kriegsgefangenen-Sendung», circa 1915
French war prisoners in the Königsbrück German camp, note on back: «Kriegsgefangenen-Sendung», circa 1915

Sincerely Queer

Sébastien Lifshitz (Parigi, 1968) non è solo un affermato documentarista ma anche un raffinato collezionista di fotografie amatoriali capaci di mostrare una differente prospettiva sulla società, rivelando storie marginali o poco conosciute. Tra queste vi sono le immagini di Sincerely Queer, che immortalano il cross-dressing di uomini e donne dal diciannovesimo secolo fino agli anni Settanta. Che si tratti di un gioco, di una beffa caricaturale o di una rivendicazione dei propri diritti, il travestitismo non solleva domande solo sulle questioni di genere ma anche sulle modalità con le quali ci definiamo e rappresentiamo, nella sfera pubblica così come nell’intimità, in bilico tra censura e libera espressione.

MEJISHI, “Ogi, Sadogashima, Niigata prefecture”. Courtesy of the artist
MEJISHI, “Ogi, Sadogashima, Niigata prefecture”. Courtesy of the artist

Charles Fréger – Yokainoshima

L’artista francese Charles Fréger (Bourges, 1975) incentra la propria ricerca sul ritratto fotografico, focalizzandosi in particolare su soggetti in uniforme o mascherati, in un’indagine in cui lo studio dell’abito si trasforma in analisi antropologica dei costumi. Dopo aver immortalato le maschere e i travestimenti tradizionali dei selvaggi di tutta Europa nella celebre serie Wilder Mann, nel 2013 Fréger inizia un progetto sulle figure mascherate dei rituali giapponesi, riconducibili al folclore delle zone rurali del paese. La mostra Yokainoshima è il frutto di questa ricerca: una serie di ritratti di grandi dimensioni dove mostri, fantasmi, orchi e goblins acquistano una bellezza quasi scultorea.

Seeking to Belong, “Stranger in Familiar Land series”, Kibera, 2016. Courtesy of the artist.
Sarah Waiswa, “Seeking to Belong” dalla serie “Stranger in Familiar Land series”, Kibera, 2016. Courtesy of the artist

Discovery Award

Il Discovery Award è un riconoscimento che ogni anno viene assegnato a un artista che utilizza la fotografia all’interno della propria ricerca e il cui lavoro è stato scoperto recentemente o merita di esser conosciuto. Senza dubbio una delle sezioni più interessanti del festival è quella dedicata alle esposizioni dei lavori dei nominati. Quest’anno meritano un’attenzione particolare i ritratti della serie Stranger in Familiar Land, di Sarah Waiswa (1980, Kampala Uganda), che riflette sulle persecuzioni a cui sono sottoposti gli albini nell’Africa Sub-Sahariana, e la scomposta installazione di Beni Bischof (1976, Svizzera), irriverente e sardonico come sempre.

 

Chiara Bardelli Nonino & Francesca Marani

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