“Stamen Papers”, la personale dell’artista inglese Michael Dean alla Fondazione Giuliani, vede due opere esposte in uno spazio pressoché vuoto, prive di titolo e accompagnate da una pubblicazione. Malgrado lo scarno allestimento, la mostra è un progetto ricco di riferimenti autobiografici, all’attualità socio-politica, al rapporto tra arte e spettatore.
Il titolo della mostra ricorre alla metafora della natura e suggerisce ermeticamente una riflessione sul rapporto tra patrimonio e contemporaneità. Dean analizza la propria ricerca per comprendere le modalità in cui l’espressione artistica è capace di rigenerarsi pur conservandosi nell’identità. Le opere oggetto di tale riconfigurazione sono xx (Working Title) (2015) e health (Working Title) (2012). Se le ramificazioni della prima installazione assumono la conformazione bidimensionale di un disegno murale, la pareti della seconda evocano le sembianze di un fiore. Dean ne identifica i tratti cognitivi e ripensa i due organismi come schemi, in base ai quali dispone i propri scritti. Come lo stame – la parte fertile del fiore – così le sculture diventano entità riproduttrici, al cui polline il pubblico attinge senza costrizioni spaziali o interpretative.
Nella mostra la figura dell’artista scompare per manifestarsi sotto forma di scrittura. Come granuli di polline, le carte che compongono le sculture contengono in sé la cellula riproduttiva, ovvero il carattere tipografico, elemento alla base del linguaggio e dell’interazione tra gli esseri umani. L’artista crea un tipo di font basato sulla stilizzazione di un mitra, e che rappresenta la fusione tra lo stato d’animo generale della società e l’intima percezione del paesaggio contemporaneo. L’ideogramma è ripetuto maniacalmente in Pollen; la pubblicazione diventa un oggetto fisico, ha perso la sua funzione bibliografica per assumere i caratteri plastici della scultura. Installato a terra, il libro appare lacerato, distrutto, le sue pagine sono strappate, il polline è disperso.
di Carmen Stolfi