Nel 1953, la scoperta del DNA si registra in un clima storico teso, in cui la minaccia nucleare è sempre in agguato, favorita da un conflitto mondiale latente e da una cieca corsa al progresso. L’immaginario che deriva da quest’epoca permea L’invasione degli ultracorpi (1956) allucinante pellicola diretta da Don Siegel, da cui prende il nome la retrospettiva di Enrico Baj allestita presso il Museo Archeologico Regionale di Aosta.
Milanese d’origine, a Parigi Baj stringe legami fondanti con Duchamp, Queneau e Breton; sarà proprio quest’ultimo a definire l’ultracorpo, un essere con piccoli arti e una grande testa di cui la mostra di Aosta districa il guazzabuglio evolutivo nella produzione dell’artista.
Già osservando La Zia Vannia (1955) e i suoi capelli di canapa idraulica, si intravede il mutamento tra una fase iniziale di pittura estremamente materica e l’avvento di veri e propri personaggi. L’ultracorpo, che ha preso definitivamente forma, socializza nel ritratto di famiglia I fidanzati con la suocera (1956). Riverbero del legame con Asger Jorn, i paradossali readymade delle Modificazioni, anch’esse in mostra. Paesaggi ameni deturpati da astronavi e anfibioidi che seducono femmine lascive, annoiate al punto da preferire la perversione extraterrestre, sono l’apice della critica al perbenismo corrotto tipico dell’estetica kitsch. Accoppiati dal rivoluzionario Vinavil, impiallacciature e corde, pezzi di specchi e bottoni su damascati introducono l’invasione dei Mobili tra le pieghe degli ambienti casalinghi. Contemporaneamente ai Meccani, l’ultracorpo prende coscienza di poter esercitare il proprio potere. Trionfano nei “Generali” passamanerie, nastri, medaglie, fasce e distintivi giustapposti a rappresentare il “piccolo uomo” mostruoso, maschilista e prevaricatore.
Importante costante nella storia del patapittore è l’elemento ludico, formalizzato nei personaggi teatrali dell’Ubu Re di Alfred Jarry, testimoni della vocazione teatrale di Baj. Chiude il percorso il riallestimento dell’Apocalisse (1978-1983), trasposizione moderna di una preoccupata allegoria medievale; opera di un intellettuale immaginario “sempre giocosamente in guerra contro le idiozie della terra”.