16a Quadriennale di Roma 1/3

25 Novembre 2016

La Quadriennale d’Arte di Roma è tornata, con un grande rilancio in termini di comunicazione e di coinvolgimento del mondo dell’arte.

La sede storica del Palazzo delle Esposizioni e l’impostazione fortemente istituzionale sono le medesime di sempre, mentre un ripensamento ha riguardato quest’anno la questione della curatela.
Infatti, la sedicesima edizione è passata attraverso una call for project da cui un comitato eterogeneo ha selezionato dieci progetti, adottando prevalentemente un criterio di complementarietà.
La scelta di un così alto numero di progetti può forse essere interpretata come strategia volta a stemperare la figura del curatore e a diluire l’idea di una visione unitaria. Di fatto, a emergere è proprio una generazione di curatori, e la selezione è un ottimo spaccato della scena artistica italiana di questi anni.
Ci sono Michele D’Aurizio, Luigi Fassi, Simone Frangi, Luca Lo Pinto, Matteo Lucchetti, Marta Papini, Cristiana Perrella, Domenico Quaranta, Denis Viva, Simone Ciglia e Luigi Leonardelli che hanno partecipato insieme. Diversi per matrice, impostazione, visione, in una situazione di reciproco raffronto queste undici personalità hanno concepito dieci mostre estremamente soggettive e marcatamente diverse l’una dall’altra; non tutte di pari intensità, ma comunque fortemente impostate dal punto di vista autoriale. Ognuna riflette decisamente le inclinazioni del curatore.
Del resto l’effetto di disomogeneità è stato senz’altro un presupposto di partenza della mostra, dato il riferimento al libro Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta di Pier Vittorio Tondelli, a cui gli organizzatori della Quadriennale dichiarano di essersi ispirati per il titolo d’insieme della rassegna: “Altri tempi, altri miti”. Ad accomunare le diverse sezioni dal punto di vista dei riferimenti culturali e concettuali c’è invece il richiamo, sempre presente, al contesto globale; in effetti quasi tutti i curatori, così come moltissimi degli artisti in mostra, vantano esperienze e collaborazioni internazionali.
L’impostazione prescelta genera una serie di agglomerati di senso e grazie a questo la Quadriennale, malgrado i novantanove artisti che presenta, si sottrae al rischio di mostrarsi come un inventario di nomi; d’altra parte in questo modo gli artisti stentano ad emergere; compresi quelli che, come Adelita Husni-Bey, Giorgio Andreotta Calò, Marcello Maloberti, Marinella Senatore, o Francesco Vezzoli, compaiono in più di una sezione.
Si passa attraverso un ventaglio di sguardi, alcuni dei quali controllati e rigorosi, come quello di Luca Lo Pinto, che ha realizzato una mostra dall’atmosfera sospesa e interiore; un microcosmo di grande equilibrio formale, fatto di opere che appaiono come un nucleo a se stante; mentre l’insieme si sottrae a una facile lettura, e proprio per il suo carattere enigmatico invita a una percezione più attenta e a un non ovvio esercizio di decodifica.
Michele D’Aurizio, con “Ehi, voi!” propone il genere del ritratto come filtro attraverso il quale guardare all’arte recente, per via della sua capacità di intercettare istanze legate alla sfera individuale e alla dimensione sociale. Nel seducente testo in catalogo D’Aurizio introduce le proprie scelte parlando di un “gruppo in evaporazione”, ovvero di una comunità priva di identità, “inafferrabile, in-inquadrabile, in-strumentalizzabile e di conseguenza incorruttibile e inespugnabile.”
Altri curatori sembrano ritenere che l’arte tragga le proprie energie dalle urgenze del contesto geopolitico attuale.
Luigi Fassi con “La democrazia in America” invita ad approfondire alcuni aspetti della storia dell’Italia contemporanea attraverso una rilettura di Tocqueville e del suo pensiero, alla cui maturazione contribuì, tra l’altro, il drammatico confronto con la realtà sociale italiana. Gli artisti che ha individuato si fanno interpreti del proprio tempo.
Lo stesso è possibile dire della sezione “De Rerum Rurale”, curata da Matteo Lucchetti, che però, con chiarezza e coerenza, si concentra su un tema specifico, quello della ruralità: un ambito in corso di ridefinizione per eccellenza, per via dell’urbanizzazione crescente e del consumo di suolo, dei grandi spostamenti di persone, delle trasformazioni dell’agricoltura e dell’economia più in generale. La mostra ospita artisti le cui pratiche interpretano il tema in modi diversi e generano opere anche formalmente efficaci, e tutte adeguatamente valorizzate nell’impaginazione espositiva. Ci sono oggetti apparentemente semplici, ma significativi: Anna Scalfi crea righelli apparentemente semplici, ma sagomati secondo i confini di origine coloniale degli stati africani; o narrazioni minori, ma capaci insieme di cogenza e di pregnanza storica: Nico Angiuli, Rossella Biscotti, Beatrice Catanzaro, Leone Contini, Michelangelo Consani, Luigi Coppola, Danilo Correale, Riccardo Giacconi, Marzia Migliora, Moira Ricci, e Valentina Vetturi.
Simone Frangi, mettendo in campo un atteggiamento da ricercatore, ha individuato una serie di video che disvelano dinamiche postcoloniali tuttora vive nella nostra società, riducendo all’essenziale l’aspetto installativo della mostra, così da devolvere una parte del budget disponibile a favore degli artisti.
Nella complessiva scarsità di punti di riferimento del sistema artistico italiano, la mostra costituisce una piattaforma importante per fare il punto sull’arte delle generazioni presenti.

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