Florian Hecker, Recitativo per nuove chimere

24 Aprile 2017

Nelle reti biologiche, tecnologiche o sociali ad alta complessità, accade che emerga naturalmente un pattern positivo, detto motif. Questi nuclei di connessioni e oggetti garantiscono nuove funzionalità al sistema, alterandone la struttura permanentemente. Confrontandomi mensilmente con un artista, proverò a isolare formule di ricerca musicale analoghe, capaci di portare nuove potenzialità espressive a germogliazione.

Florian Hecker (1975, Augsburg) è da più di un decennio protagonista assoluto della ricerca sonora contemporanea. Dopo aver studiato linguistica computazionale e psicolinguistica a Monaco, raggiunge a Vienna il centro nevralgico di sperimentazione rappresentato da Mego, curando con Oswald Berthold l’etichetta fals.ch, tra le prime esclusivamente digitali. L’adozione al tempo stesso concettuale e ironica dei metodi della computer music definisce questa generazione di artisti, dalla quale Hecker emerge per uno sviluppo unico del timbro, la fibra qualitativa del suono, coinvolgendo strumenti software e mezzo vocale.
Negli anni successivi si esprime attraverso installazioni, performance e pubblicazioni affiancandosi ad artisti del calibro di Russell Haswell, artista multidisciplinare che ha battezzato i suoi interventi Extreme Computer Music; Carsten Höller, con cui coltiva il comune interesse per il disorientamento del pubblico attraverso la psicoacustica; Aphex Twin, che affianca su diversi palchi europei con delle performance dall’altissima intensità musicale e visiva; Quentin Meillassoux, il cui concetto filosofico di Hyperchaos consente di trovare nuove espressioni di sorpresa e casualità nella composizione.
Editions Mego ha da poco pubblicato il suo nuovo lavoro, A Script for Machine Synthesis, terzo episodio della feconda collaborazione con il filosofo iraniano Reza Negarestani. Tra i punti cardine della trilogia vi è il processo di chimerizzazione: il trasferimento di qualità timbriche da un suono all’altro, fondendo registri software e vocali in un unico oggetto musicale, con l’obiettivo di esporne l’immaterialità. Ho discusso con Hecker degli ultimi strumenti compositivi che ha adottato, e del sovversivo approccio di fals.ch nei confronti dei formati digitali.

Ruben Spini: Colpisce in A Script for Machine Synthesis la volontà di evitare una voce umana alla recitazione del testo, diversamente da come avveniva sia in Chimerization, dove coinvolgevi diversi lettori, che in Hinge, eseguito da Joan La Barbara. Il libretto di Reza Negarestani è questa volta restituito da una voce sintetizzata, come sembrano alludere i versi in apertura: exeunt all human actors, save for the cube.

Florian Hecker: Per ognuno di questi brani abbiamo valutato gli spazi dove sarebbero stati eseguiti, così come i concetti computazionali sottostanti, gli algoritmi adoperati nella produzione e le idee presentate dal suono. L’opera è stata messa in scena inizialmente in una versione differente dall’attuale, all’Auditorium del Guggenheim Museum di New York. Il protagonista era un vero e proprio pink ice cube, figura adoperata come esempio dal filosofo americano Wilfrid Sellars nelle sue riflessioni sulla percezione sensoriale. Per questa prima versione ho collaborato nuovamente con Joan La Barbara, arrangiando alcune parti del libretto per un coro assente dal palco, che intona le parole da differenti punti dell’Auditorium. In una seconda versione per l’Auditorium dello Stedeljiik Museum di Amsterdam abbiamo optato per una differente soluzione, mancando lo spazio per posizionare il coro. Stavo già collaborando da diverso tempo con il Center for Speech Technology Research dell’Università di Edimburgo, specializzato nella creazione di voci sintetizzate, datene di autentiche. Le “qualità” della registrazione vengono dunque formalizzate, estrapolandone un modello digitale.

RS: Una nuova forma del processo di chimerizzazione?

FH: Sì, una sorta di approfondimento verticale, l’idea di trasferire “qualità”, componenti e caratteristiche continua a interessarmi profondamente. Nel brano Chimerization rappresentava l’operazione centrale, che estesa attraverso questa forma di sintesi vocale profila la mia ricerca presente, uno studio sulla sintesi della consistenza sonora. Per queste ragioni la voce generata algoritmicamente ha assunto un ruolo nell’esecuzione avvenuta ad Amsterdam. Per quanto riguarda invece la resa presente nel CD ho deciso di rimuovere le registrazioni delle interpretazioni umane, sostituendole completamente con una loro nuova versione sintetizzata – così che anche le voci che risultano più verosimili sono in realtà in una forma processata, doppi della loro versione originale.

RS: Sei stato capace di sviluppare una forte continuità attraverso brani fatti di eventi sonori discreti. Riconosco nel libretto una struttura simile, una disposizione intermittente di processi, caratteristiche, relazioni… Una visione al tempo stesso perfettamente razionale e incomprensibile — affine al demon in details evocato nel testo. Mi chiedo se sia un’ulteriore elaborazione del concetto di Hyperchaos immaginato dal filosofo francese Quentin Meillassoux: la possibilità di generare una forma d’ordine assoluto attraverso l’avvicinamento di eventi discreti, pietrificando la continuità temporale.

FH: Non lo legherei ai concetti di Meillassoux, attorno i quali ho sviluppato l’opera Speculative Solution. Abbiamo voluto alternare nel libretto blocchi linguistici in forma di filosofia analitica con blocchi funzionanti invece come brevi testi in stile neo-imagista. Sono presenti anche delle descrizioni di scena che richiamano il Teatro della Crudeltà di Artaud o le narrative minimaliste di Beckett. Si tratta di un processo precisamente strutturato, che accompagna un incontro più soggettivo con il suono. Può essere molto interessante, lavorando con la sintesi sonora, raggiungere una forma simile al nastro di Möbius: una superficie più formale e metodologica, l’altra luogo di un incontro più sensuale e intimo, all’apparenza diametricalmente opposto.

RS: E l’ascoltatore si trova vincolato a percorrerle entrambe.

FH: Le giudico inseparabili.

RS: La ricerca di Meillassoux fornisce spunti utili per comprendere la contemporanea forma fossile di Falsch, sublabel digitale di Mégo che hai curato con Oswald Berthold a partire dagli anni novanta, inattiva dal 2005. Al momento l’unico modo di accedere al sito dell’etichetta è attraverso servizi di archiviazione web come Wayback Machine, che lo hanno fotografato per anni prima che diventasse non raggiungibile. Si può navigare attraverso pagine e pubblicazioni Evol, Pain Jerk, Cristoph De Babalon, Russell Haswell e Merzbow… ma ovviamente alcune connessioni non sono state preservate, per cui è impossibile raggiungere l’intero hyperspace che Falsch costituiva. Ai tempi la label digitale era una modalità del tutto nuova di pubblicare musica: qual era il vostro interesse nei confronti di una piattaforma simile?

FH: Iniziò come un impegno amministrativo – fals.ch era stato avviato da Mego e solo successivamente venne chiesto a me e ad Oswald se fossimo interessati a prendere il controllo dell’etichetta e delle idee che la guidavano. Le prime pubblicazioni erano in formato RealAudio™ ed esclusivamente in streaming, per cui qualitativamente molto degradate. Quando il formato mp3 divenne più noto, iniziammo a coinvolgere artisti esplicitamente interessati a creare musica in questa forma specifica, al tempo percepita molto diversamente da una release fisica. Le competenze informatiche e matematiche di Oswald lo portarono ad interessarsi a differenti sistemi digitali, esplorando i database in termini sia concettuali che tecnici, con l’idea mai realizzata di ristrutturare l’intera etichetta secondo il data model ZigZag di Ted Nelson.

 

A Script for Machine Synthesis è stato pubblicato il 24 febbraio da Editions Mego, in formato CD e digitale, insieme ad Articulação Sintetico – una completa risintesi di Articulação, pubblicata da Hecker nel 2014 sempre sulla label austriaca. Il 5 maggio inaugurerà un’estesa personale al Tramway di Glasgow.

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