Forme animali e vegetali, classicità e sperimentazione, mondo magico e tradizione veneziana si fondono nella ricerca che Ettore Sottsass ha intrapreso con il vetro in sessant’anni di lavoro. La mostra, a cura di Luca Massimo Barbero, ci espone con vivida precisione lo sviluppo coinvolgente delle sue invenzioni formali.
Per Sottsass, “il vetro è uno spettacolo”. I suoi vasi sono sempre affidati a maestranze artigianali e ai loro rituali quasi magici, che, soffiando con lunghe canne una “musica soffocata”, mutano il vetro incandescente nelle sue utopie colorate.
L’ordine cronologico adottato aiuta a contestualizzare tale traiettoria innovativa: dopo i primi esercizi formali, è nei vetri prodotti per Memphis negli anni Ottanta che iniziamo a vedere come, con cruda libertà, Sottsass inizia a ripensare il vaso. Nel Prototipo Memphis (Prototype) (1986) la presenza di più paste colorate, trasparenze ed elementi incollati in maniera asimmetrica, al limite dell’acrobatico, trasformano drasticamente le forme classiche. Negli anni Novanta è l’integrazione di un supporto il tratto distintivo delle sue sperimentazioni. In Esercizi (1998) un basamento in marmo si contrappone alla fragilità del vetro, risolvendo l’apparente contrasto nell’incontro fra cromie mai troppo distanti. Il suo alfabeto materiale è adesso ben articolato, ma, negli anni successivi, riesce a lasciare il giusto spazio all’ingresso dell’inaspettato, del magico e dell’amorfo. Le Kachina (2004-2006), ispirati alle bambole dei Pueblo nativi americani, sono feticci di vetro, idoli cavi con forma zoomorfa o con le fattezze di strumenti rituali, otri-caverne con mantelli e collane sacre. Sono “idoli di un credo fragile e poetico” – scrive Barbero – capaci di liberare il vetro da una semplice funzionalità “meccanica”. Nelle ultime sale il disegno geometrico si unisce a forme fitomorfe (Xiangzheng, 1999) e costruisce un vero giardino di vetro nella serie per la Millennium House di Doha (1999-2005), sintesi formale della sua produzione: asimmetrie, pendenti organici e una tensione scultorea che sottolinea la presenza attiva di tali oggetti trasparenti.