“Keimena” (letteralmente “testi”) è uno dei numerosi sistemi utilizzati da documenta 14 per stabilire un discorso più ampio e nazionale, capace di precedere l’opening.
Il progetto – attivo da dicembre 2016 a settembre 2017 e curato da Hila Peleg e Vassily Bourikas – occupa lo slot delle proiezioni di mezzanotte del lunedì di ERT2, emittente statale chiusa nel 2013 e riaperta in seguito a scioperi e proteste. “Keimena” agisce come un intervento deliberatamente “pubblico” e dal programma eccezionalmente ampio e internazionale, trasmettendo sia corti che lungometraggi di registi che adottano dispositivi narrativi documentaristici e finzionali.
I lavori prendono corpo entro le linee guida dell’ERT e del servizio pubblico di trasmissione, mentre i testi introduttivi che precedono ciascuno screening sono studiati per fornire un’ampia cornice contestuale.
Dalla prima proiezione del duo CAMP From Gulf to Gulf to Gulf (2013) – che documenta le vicissitudini della vita di bordo attraverso riprese da telefoni cellulari degli stessi marinai – alle più recenti trasmissioni di The Garden of Stones (1976) di Parviz Kimiavi – film che segue un pastore sordomuto lungo ampi e aperti paesaggi con luci e suoni dal sapore metafisico –, il programma esamina la condizione dell’individuo in maniera spettacolarmente universale, attraversando i continenti e gli oceani nello spazio e nel tempo.
Il pubblico è ampio e si concede l’opportunità di fruire film, alcuni di questi commissionati ad hoc da documenta, che normalmente sono visibili in sparuti festival selezionati.
Theo Prodromidis, artista e filmaker di base ad Atene, è convinto che il progetto possa creare un precedente per una programmazione più “rischiosa”. Il leitmotif marittimo presente sia nel film portoghese Rabo de Peixe (Fish Tail) (2015) che in The Forgotten Space (2010) di Allan Sekula e Noël Burch, sembra essere progettato per restituire il patrimonio marittimo di Atene e forse, più specificatamente, la cessione del controllo sul porto del Pireo alla Cosco Holding Company cinese.
D’altra parte, Ku Qian (Bitter Money) (2016) di Wang Bing sposta il focus sul neocapitalismo cinese: ambientato nella metropoli di Huzhou sottolinea l’urbanizzazione forzata e, contemporaneamente, la ruralità negletta. L’intensa e intima modalità di trattare temi spinosi caratterizza tutta la selezione e in particolare di Manazil bela abwab (Houses Without Doors), di Avo Kaprealian, anche questo realizzato lo scorso anno, registrando il cambio di vita di una famiglia siro-americana ad Aleppo. Osservando dal loro balcone una città che si tramuta in un campo di battaglia, lo spettatore esperisce anche la dolorosa decisione della famiglia di andarsene. Una scelta inerente sia a conflitti personali che inevitabile rimando all’esperienza ancestrale del genocidio armeno.
Così “Keimena” testimonia le ambizioni e gli obiettivi di documenta, sia sincronici che diacronici, e una volontà di documentazione che spinge il festival oltre i confini fisici.