Bea Schlingelhoff Istituto Svizzero / Milano

27 Giugno 2017

“Fino all’abolizione del patriarcato, il lavoro delle donne deve essere considerato pure lavoro mercenario?”. Un enorme telo in PVC rivolge la domanda, tradotta anche in inglese, sulla facciata superiore, verso strada. Il rigoroso edificio dell’Istituto Svizzero di Milano, attraverso il quesito ha così esteso e amplificato il “benvenuto” di Bea Schlingelhoff a chiunque attraversasse via Vecchio Politecnico, oppure si avvicinasse al cortile più grande.
Il sovvertimento intrinseco della sua personale, curata da Samuel Gross e allestita anche all’Istituto Svizzero di Roma, è una presa di posizione contro l’etica della verità, a favore di un’estetica del dubbio. “Auftrag: No Offence” si muove al di là delle apparenze mediate, canonizzate e codificate, trattando una serie di domande come media della verità. Lungo il percorso espositivo, a partire dal viraggio della luce, filtrata e ricolorata, dalle monumentali vetrate di ingresso, l’incertezza è riaffermazione della realtà. Qui risulta incontestabile che solo chi crede nella verità possa dubitare, anzi: dubitarne.
Il termine “Auftrag” in tedesco è tradotto come incarico, ordine, ma anche applicazione. E può essere usato tanto per indicare la stesura del colore quanto per definire l’incarico nello svolgimento di un servizio. Proprio a partire dal colore, dalla combinazione eterna di giallo, azzurro e rosso della Guardia Pontificia a Roma, Schlingelhoff prende avvio per disertare le disposizioni del potere e rievocarne l’irreversibilità della Storia, e di una storia dimenticata. Nel salone dell’Istituto Svizzero, un video e un manifesto, posti frontalmente a sei fotografie di grandi dimensioni, decostituiscono la militarizzazione maschile e ci domandano che cosa significhi, oggi, sentirsi mercenarizzati. Soldati della moda il cui destino è confondere, travalicare non solo il grado della propria identità di genere, ma anche i confini della nazione alla quale si decide di appartenere, tra corpi civili, religiosi, militari e infine, solo alla fine, umani.

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