A boat is a floating piece of space, toward the Horizon Galleria Alfonso Artiaco / Napoli

15 Luglio 2017

Napoli da sempre meta di artisti, sedotti dalla sua storia e la sua cultura, porta un carico spesso non facile: Piper Marshall sceglie una via mediata e inusitata e con “A boat is a floating piece of space, toward the Horizon”, cura il suo primo progetto italiano.
Considerata da sempre terra vulcanica, con le sue precarietà e turbolenze, la curatrice invece, nel testo che accompagna la mostra, la descrive come terra di acqua e di flussi, dove il mare è un orizzonte melanconico, mentre i laghi e i fiumi che la circondano sono una metafora di sedimetazioni impercettibili.
Tale descrizione fa nascere diversi quesiti che non trovano risposte nel percorso narrativo della mostra in cui latita una conversazione fra i lavori: acuta e centrata l’opera di Lucy Dodd Wa Wa Fall, (2017) che crea tele “organiche” e in questo caso, utilizza materiali come acqua piovana e petali per creare un senso di superficie mutevole e connettivo.
Dal blu vivo di Dodd si passa alle misteriose vedute monocromatiche della tedesca Silke Otto-Knapp come in Sailboat (with moon), (2012) dove la luce fredda di paesaggi nordici dona un senso di sospensione lontano dai colori e il calore del Mediterraneo.
Se le installazioni di Rochelle Goldberg TBT (2017) cercano contaminazioni ambientali, le fotografie di Bethan Huws della serie “Fountain” (2011) nonostante raffigurino zampilli, ricordano l’omonimo video del 2009 legato a speculazioni lontane.
Anche i due lavori di Aislinn McNamara Untitled (Frottage I) e (Frottage II) (2017) nella loro incisività sembrano percorrere strade diverse, mentre Fia Backström con uno dei suoi “cluster” Corpus Vile Machine #1 (2016), utilizza le sue associazioni concettuali-morfologiche tra fotografie che per soggetto o forma ci ricordano geografie e movimenti fluttuanti.
Due wall drawings, uno di Studio for Propotional Cinema (The Pigeon Breeder-Scene Description: A Boat is A Floating Piece of Space, Toward the Horizon [2017]), e l’altro di  Karin Schneider (WHATWHOWHERE [2017]), lasciano definitivamente senza risposte il visitatore.

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