Anna-Sophie Berger Emanuel Layr / Roma

31 Agosto 2017

Le nozioni di pubblico e privato in “New words”, la mostra personale di Anna-Sophie Berger alla Galleria Emanuel Layr di Roma, sono sintomatiche della dimensione vernacolare che caratterizza la relazione fra “io”, oggetto e spazio abitabile.
La dicotomia pubblico/privato a primo impatto si riduce al dentro/fuori in riferimento allo “spazio” dell’arte e al suo ruolo: l’opera Grace (2017), un cubo di metallo dalle reminiscenze minimaliste aperto sul lato superiore accoglie pezzi di carbone e, ancorato a una catena, si pone a metà fra l’esterno e il breve corridoio d’ingresso della galleria.
Berger guarda all’oggetto come a una stratificazione mnestica, un connettore fra interiorità e una spazialità emotiva  – lo spazio non può essere soltanto luogo in cui gli oggetti esistono, è impregnato di immagini che hanno a che fare con il proprio io. Esemplare è il caso del lavoro The Nest Is Served (2017), una sorta di ossimoro visivo che nell’apparente forma di una culla-prigione sospende l’assorbimento dell’immagine da parte dell’osservatore a metà tra sensazioni embrionali, di ritorno all’infanzia e di protezione e sentimenti che appartengono invece all’età adulta e disincantata, come può essere la visione di un mondo pieno di barriere nelle quali ci vediamo costretti.
I metaoggetti prodotti da Berger si possono inquadrare nelle teorizzazioni sulla materialità e sulle superfici dei costrutti visuali di Giuliana Bruno, secondo cui il “mutuo contatto fra noi e gli oggetti o gli ambienti avviene sulla superficie. È grazie a questo contatto epidermico, “superficiale”, che comprendiamo l’oggetto artistico e lo spazio dell’arte, trasformando il contatto nell’interfaccia comunicativa di un’intimità pubblica” (in Superfici. A proposito di estetica, materialità e media Johan & Levi, Milano, 2016). Sempre per citare Bruno, l’osservatore diventa “agency” tra “pubbliche intimità”, due sfere opposte ma complementari.
L’agilità con cui l’artista si muove da un media all’altro conservando il suo peculiare vigore espressivo è evidente in I am late / I love / I buy (2017), un foglio di 45 x 62 cm su cui è stampata una tabella a due colonne in cui sono elencate una serie di azioni scritte. A prima vista quello che potrebbe sembrare un gioco di contrari, rivela essere un esercizio linguistico privo di ordine. Sono i micro-spazi di Berger che fanno di lei un’artista duttile e salda nel pensiero.

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