È già da qualche anno che Villa al Console nei pressi di Lucca apre al pubblico con mostre site specific ideate e realizzate su misura per la villa. La scelta a cura di Maria Livia Brunelli quest’estate è ricaduta su due artiste italiane con un buon curriculum all’attivo: Silvia Camporesi partecipa fra le altre cose al IX Festival di Fotografia Europea e un suo lavoro è diventato il manifesto della mostra “Italia Inside Out”, a Palazzo della Ragione a Milano l’anno scorso; Ketty Tagliatti invece è di casa allo Studio G7 di Ginevra Grigolo a Bologna, città nella quale ha anche studiato e iniziato, quasi trent’anni fa, la propria carriera artistica. Nella doppia personale i loro percorsi s’intrecciano su temi e pratiche tipicamente muliebri, e l’attesa, la cura o la leggerezza escono rafforzate nella dimensione raccolta degli interni grazie ad un allestimento raffinato ove nulla è lasciato al caso.
La fotografia sgranata di un orologio all’inizio del percorso allenta le catene della necessità che costringe gli attimi a trascorrere l’uno nell’altro, e allora in queste stanze protette dalla calura manca il rintocco delle ore e dei minuti sospeso da chissà quanto, e regnano su tutto il silenzio, la quiete, l’attesa. È una foto di Camporesi che fa emergere un’atmosfera, e i muri stessi trasudano pazienza, mani solerti cuciono per ore, e attendono alla tessitura o all’arte del ricamo: si fabbricarono in queste terre i primi telai e con l’arrivo della seta dall’Oriente nacque un’industria rigogliosa attorno alla dinastia dei Mansi. Perciò risultano perfettamente a casa tutte le maxi e mini poltrone ricamate di Tagliatti, che appaiono come altrettante presenze rassicuranti e insieme vagamente inquietanti, perché parlano di un’assenza e di un vuoto, ed introducono alla serie delle rose che l’artista cuce con interpolazioni di vere spine di rosa attraverso un armamentario di spilli e aghi che conferisce alla tela spessori vertiginosi. Le fotografie con interventi colorati a mano di Camporesi rimandano ad un precedente lavoro di matrice concettuale, un atlante d’Italia che attuava un campionario di luoghi decadenti e ricchi di fascino di cui alla fine risulta ricchissimo il Belpaese. Luoghi deserti e inabitati, ma basta il nostro sguardo, per animarli: su queste tematiche si sono affaticate in tantissime artiste della generazione della Tagliatti fino ad estendersi alla performance nel caso di Sissi, ma nel binomio Tagliatti-Camporesi esce con forza il genius loci, un mistero che aleggia su tutto come quelle voci che senti riecheggiare all’infinito in certe case.