“Non mi piace essere riconosciuto per uno stile, ma per la fantasia”. Parole di Armando Testa. E infatti entrare nella sua opera è come avventurarsi in un grande arcipelago linguistico, dove il messaggio pubblicitario non si esaurisce nella réclame di un prodotto, ma nel suo arricchimento attraverso molteplici interventi e associazioni creative. Nelle sue campagne Testa non si propone di glorificare un logo, ma vi costruisce attorno atmosfere paradossali, figure doppie e ibride. Nei manifesti degli anni Cinquanta (per Esso, Pirelli, Galbani) realizza immagini che si fondano sulla coesistenza di animali, macchine, oggetti. Si tratta sempre di gettare nel discorso una manciata di figure retoriche, un arcimboldesco sistema di “scarti e slittamenti semantici”. Il tutto, però, racchiuso in un ordine compositivo rigoroso e sobrio, ispirato al principio di economia dei mezzi e di razionalità di impaginazione tipico del Bauhaus. Basterebbe solo osservare il celebre manifesto per il “Punt e Mes” con una sfera e una semisfera rosse che si presentano come riduzioni astratte del nome del prodotto. È come se Testa volesse promuovere un marchio rendendolo altro da sé o cogliendone l’aspetto interiore. Ed è così anche quando negli anni ‘60 e ‘70, sposta la sua attenzione all’immagine in movimento, alla narrazione fiabesca di “Carosello” (alle forme primarie di personaggi sferici come “Papalla” o conici come quelli della saga di “Caballero e Carmencita”). La meraviglia della sintesi si combina con il nonsense della narrazione, la massima semplicità con il massimo artificio. Una tecnica che Testa utilizza anche in opere libere dal legame con il prodotto: in oggetti dal design surreale, nei dipinti espressionistici degli anni ‘80, ma soprattutto nelle foto che ci introducono in un vero laboratorio di inganni visivi, con poltrone avvolte da prosciutto o spaghetti che colano il sugo sulla tela… Tutto finisce sotto il segno della metafora, del “come se”: perfino le “Croci” finali, dove è lo stesso supporto ligneo a farsi testa reclinata di Cristo, allusione all’invisibile, quasi richiamo sintetico e prezioso, com’è in fondo il messaggio pubblicitario di Testa.