Jim Hodges Massimo De Carlo / Milano

30 Gennaio 2018

“Turning the pages in the book of love” è il titolo della prima personale di Jim Hodges alla galleria Massimo De Carlo di Milano, in cui l’artista americano presenta cinque nuove opere appositamente concepite e realizzate in dialogo con gli spazi neoclassici di Palazzo Belgioioso.
A partire dal titolo, la mostra stessa può essere interpretata come un libro da sfogliare. Un libro che, di pagina in pagina, parla di amore, ma anche di precarietà e morte, di bellezza sfolgorante e irrimediabile caducità. Che parla della vita, insomma.
Lo stile narrativo adottato dall’artista è potente e delicato al contempo: potente perché Hodges ha la straordinaria capacità di teatralizzare i materiali – dai più nobili ai più comuni – per dare vita a fastose messe in scena barocche, debitrici della tradizione secolare del saper fare manuale e artigiano; Delicato perché non è mai gratuita ostentazione. Hodges tratteggia percorsi fatti di fugaci rivelazioni e simboli, come nel caso, nella prima sala, di un fragile albero in vetro circondato da colorate farfalle (in greco il termine psyché indicava sia il lepidottero che l’anima), accessibile alla vista solo tramite la fessura di un imponente mobile in legno (The Narrow Gate [2017]). L’artista distilla e disvela i dettagli precisi e preziosi delle suoi lavori a poco a poco, in maniera sussurrata. La sua poetica implica – e invita a – prendersi cura delle cose, proteggerle e portare l’attenzione su elementi magari infinitesimali, ma significanti. E così due mani scolpite in marmo bianco di Michelangelo celano al loro interno una rosa d’oro (an ocean [2017]), o ancora, altre mani intrecciate, al centro di un ambiente raccolto, sontuoso e solenne per via dei velluti drappeggiati, custodiscono un piccolo oggetto da scoprire (a dream of knowing [2017]).
Nella sua sperimentazione transmediale Hodges si confronta anche con la pittura per illuminare di rosso lo spazio espositivo stratificando su tela glitter, medium acrilico e pastello su tela (go far baby go far [2017]). Nel passare dagli interni della galleria al giardino, l’artista recupera ed estremizza lo scultoreo nella natura – uno dei topoi ricorrenti e a lui più cari – tramutando quasi alchemicamente in bronzo e oro le radici di una sequoia gigante, ricordo di un viaggio (other ways [2017]).
Con le sue opere Hodges concorre alla definizione di una metafisica del quotidiano non scevra da profonde riflessioni sull’effimero e sul transeunte. E sulle possibili malattie – tanto reali quanto metaforiche – della società contemporanea.

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