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26 Marzo 2018

Con “Home Beirut” il MAXXI continua ad approfondire il contesto incredibilmente dinamico, ma anche ricco di tensioni drammatiche, delle grandi metropoli on the move del Mediterraneo.
Questo sondaggio, iniziato nel 2015 con la mostra “Istanbul, passione, gioia, furore”, ancora l’analisi del panorama artistico locale a una più generale domanda sul futuro delle città, che Hou Hanru, direttore artistico del MAXXI e curatore di entrambe le mostre (qui con Giulia Ferracci) ha posto da sempre al centro della sua ricerca. Le trasformazioni del contesto urbano, le sue cicatrici, le tracce di una storia travagliata e contraddittoria, recente e passata, sono al centro di “Home Beirut”, una mostra che materializza le dinamiche sociali, culturali, politiche ed economiche che hanno reso la capitale libanese un laboratorio di creatività ma anche di resilienza. L’esposizione si articola in un costante dialogo tra ciò che è intorno alle persone e quel che accade dentro di loro. Rappresentativo, in questo senso, il video di Sirine Fattouh, Entre les Ruines (2014), girato poco dopo la fine della guerra del Libano del 2006, che mostra un performer danzare con intensità drammatica tra le rovine di un villaggio bombardato, sulle note di cinque musicisti di diversa cultura musicale. O quello di Lamia Joreige, Here and Perhaps Elsewhere (2003), dove l’attraversamento dello spazio urbano di confine tra Beirut Est e Ovest, teatro della guerra civile, è l’occasione per raccogliere una serie di racconti che, partendo dai luoghi, innescano il processo della memoria. Il percorso, con molti video e labirintico, tanto da rischiare che alcune opere dei trentasei artisti presenti non vengano viste, è diviso in quattro sezioni, dedicate ai temi della memoria, dell’accoglienza, del territorio e della gioia. Particolarmente intensi la video installazione di Fouad Elkoury, Le Plus Beau Jour (2014), basata su sulla poesia di Etel Adnan (che è anche presente in mostra con le sue opere) To live in a time of war, e Beirut Exploded Views (2014), di Akram Zaatari, che affronta il tema dei rifugiati e dello spazio pubblico.

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