“You Complete me” è il progetto di Raffaela Naldi Rossano ideato per la rubrica “In Residence”, residenza online di Flash Art. Il progetto prende avvio dalla mostra personale di Naldi Rossano presso il Museo Apparente di Napoli; qui l’artista ha assemblato e ricomposto oggetti ritrovati nel mese di gennaio all’interno di un hotel di Napoli, accompagnandoli a una traccia vocale. Secondo la tradizione partenopea, è di buon auspicio gettare un oggetto a inizio anno per accogliere il ciclo venturo con rinnovata energia. Per il primo “In Residence” Naldi Rossano è in conversazione con la curatrice Attilia Fattori Franchini per discutere proprietà e abbandono, il potere catartico di oggetti, identità e luoghi.
Attilia Fattori Franchini: Artista, psicologa, curatrice. Il tuo lavoro prende tante forme e influenze, difficili da definire sotto un unico nome. Questa apertura e diversità ha al suo centro il dialogo artistico, personale, e urbano, Napoli per te è una piattaforma operativa, dove tra le altre cose, hai fondato nel 2017 Residency 80121. Mi racconti un po’ come questo progetto è nato e come si lega alla tua pratica personale?
Raffaela Naldi Rossano: La mia pratica artistica poggia le basi su una lunga ricerca iniziata durante gli studi in psicologia, incentrata sulla trasmissione generazionale e la relazione fra il Sé e l’Altro nella continua trasformazione dell’identità. Non ho mai voluto fare la psicologa ma concepisco il mio lavoro come la realizzazione di un processo catartico in cui chi ne fa esperienza possa entrare in contatto con se stesso e il mondo. Questo processo ricorda l’effetto rivelatorio di una seduta di terapia.
Residency 80121, nasce dall’esigenza di voler sbloccare un’immobilità legata al passato, in cui più visioni insieme possano costruire un nuovo modo di abitare il presente. Non penso neanche di potermi definire curatrice, ma piuttosto una “host”. Creare una comunità di persone, anche se imperfetta e utopica, è ciò che stiamo provando a fare a Napoli con Residency 80121.
AFF: È interessante questa visione di luogo come tesoriere di memorie complesse attivate da presenza, segno e passaggio. Prevedi che le esperienze artistiche si accumuleranno residenza dopo residenza?
RNR: Avverrà nell’appartamento abbandonato in Via Martucci 48, dove Zehra Arslan e io nel 2017 abbiamo iniziato un dialogo artistico su come abitare lo spazio e trasformare le tracce lasciate, tra cui quelle di mia nonna che ci ha vissuto da bambina. Il risultato di questa conversazione si è poi trasformato nella mostra “Sulle Forme dell’Abitare” la quale ha inaugurato le attività di Residency 80121. I prossimi artisti invitati a dialogare con quel luogo avranno la possibilità di confrontarsi sia con gli strati storici dell’edificio che con gli interventi artistici del recente passato.
AFF: Questi sono anche in un certo senso anche i temi che affronti nella tua prossima mostra al Museo Apparente.
RNR: Parto dalla necessità di cambiare l’energia degli spazi seguendo un’indagine sulla storia di luoghi e oggetti scelti. Nel caso del Museo Apparente, lo spazio mi ha subito ricordato una casetta in giardino dove i bambini si nascondono e creano storie fantastiche.
AFF: La mostra “you complete me” al Museo Apparente prende il titolo dal testo di Paul Chan, 2010, The Unthinkable Community. Chan scrive: “Community, then, is what happens when we complete ourselves. Through purpose, members of the collective come together and merge with the work they have agreed to accomplish as one.” Mi vuoi spiegare questa relazione?
RNR: Come diceva Sartre, “inizi ad esistere quando ti specchi negli occhi altrui”. Immagino qualsiasi lavoro creativo come un lavoro relazionale, tutto ciò che diamo al mondo ne è parte e contiene il potenziale continuo di trasformazione. Per la mostra al Museo Apparente, ho deciso di assemblare oggetti che condividono il destino di essere stati abbandonati nello stesso spazio: un hotel, luogo di passaggio, i quali vengono ri-definiti in una comunità.
RNR: Com’è la tua comunità immaginaria?
AFF: In un certo senso trovo che il lavoro da curatrice porti sempre con sé una spinta micro-comunitaria. Ogni mostra o progetto ha, per un tempo limitato, una forza aggregante. La mia comunità ideale cresce in un giardino di cactus, dove si possano originare conversazioni filosofiche, artistiche, politiche, biologia, diversità e resistenza.
AFF: Gli oggetti abbandonati e ritrovati nella tua mostra, diventano gruppo e creano nuove relazioni con lo spazio. La traccia audio, una meditazione guidata ispirata alla Gestalt, accompagna i visitatori alla scoperta di nuove relazioni. Vuoi parlarmi di questo elemento e perché hai scelto la voce di tua mamma?
RNR: Diciamo che sono interessata al fatto che la voce della madre è solitamente il primo suono che si sente alla nascita. Inoltre mia madre ha un suono di voce molto squillante, un elemento di contrasto, con la natura ipnotica e calmante delle fantasie guidate.
AFF: In occasione della mostra, sei intervenuta in qualche modo sugli oggetti, trasformandoli? Assemblaggio, intervento scultoreo, presentazione?
RNN: Ho cercato di ricreare un ambiente fra un interno di una lavatrice bloccata nel tempo e un magazzino per giocattoli. La resina mi ha dato la possibilità di lavorare sulla trasparenza, mentre i colori scelti, rosa e blu, ricordano l’arredamento delle stanze da letto per bambini. È il senso di un allagamento, una moltitudine di relazioni, simile a quando si ritorna a casa dopo aver incontrato molte persone ma si rimane soli. Mi sa che tu la conosci bene questa sensazione dato che il tuo lavoro ti porta a viaggiare in continuazione, come fai a non perderti nella moltitudine di incontri?
AFF: Da sempre sono stata interessata a sperimentare luoghi e contesti diversi, culture, idiomi. Il mio lavoro di curatrice mi porta a essere in costante movimento e ricerca; a volte sopraffatta dalla quantità di persone e contesti nuovi. Il mio antidoto è prendermi tanto tempo per me.
Per tornare al discorso relativo all’oggetto, sai che la religione afro-brasiliana Candomblé riconosce la profonda influenza che gli oggetti possono avere sulla vita delle persone e su ciò che le circonda? In questo modo mettono in evidenza la capacità del corpo migrante di trasmettere la propria cultura in Paesi diversi da quello di origine, divenendo al contempo fruitore delle culture con cui viene a contatto. Credi che gli oggetti persi e ritrovati mantengono tracce della propria cultura di origine? Come rispondono al contesto del Museo Apparente?
RNR: Questi oggetti sono stati abbandonati in un hotel, luogo d’incontro di culture, depositati in pacchi e contenuti in piccole buste. Potrei pensare all’idea di demolire le pareti all’interno di un condominio e mischiare le relazioni tra persone e cose in maniera diversa. Il Museo Apparente è così una casa ideale in cui non ci sono divisioni tra una stanza e l’altra. La cultura d’origine è un po’come un amante eterno che vuole esser a te legato per sempre ma il cui amore deve essere tenuto a distanza per essere accettato.
AFF: Quali sono gli oggetti che ti circondano nel tuo studio?
RNR: Vari oggetti della mia casa d’infanzia, un ramo d’ulivo e una fotografia della capanna dove ho vissuto per due mesi in un villaggio rurale nel nord del Vietnam e, ovviamente, numerose scatole di oggetti ritrovati.