“Kirchgängerbanger” è un portmanteau così riuscito che anche ai madrelingua è risultato un neologismo plausibile. Si tratta invece della crasi, blasfema e libertina, di “kirchgänger”, “fedeli” in tedesco, e “gangbanger” – i cosiddetti partecipanti a una gangbag. Prende forma su questo crinale, al confine fra scontri di potenziali semantici e linguistici, la pratica di Slavs and Tatars.
Il cosmopolita duo, composto dall’iraniano-statunitense Payam Sharifi e dalla polacca Kasia Korczak, con la loro pratica postmediale composta di lecture-performance, installazioni e libri d’artista, porta ad ar/ge Kunst, nella bilingue Bolzano, la loro dialettica della coincidentia oppositorum. In “Kirchgängerbanger” la figura di Johann Georg Hamann, filosofo ed enfant terrible dell’anti-illuminismo prussiano, si erge a nume tutelare. La poetica di Slavs and Tatars condivide col filosofo diverse caratteristiche: in entrambi è presente un atteggiamento ironico, postmoderno quasi, e un linguaggio poetico al limite con l’ermetismo e l’eteroglossia bachtiniana, usato come antidoto a quell’ipersemplificazione, dovuta al razionalismo in un caso e al digitale nell’altro, che porta a quella reductio ad unum che appiattisce e banalizza. Ma soprattutto anche per quel peculiare mix che Hamann fa di teologia luterana e linguaggio lubrico, in un connubio di fede e sessualità, espresso limpidamente, oltre che da alcune opere, anche nel titolo della mostra. Slavs and Tatars nei loro cicli di opere fanno collidere visioni e linguaggi consapevoli che la conoscenza procede più per contraddizioni che attraverso il consenso, come emerge in Bicephalic Flag (2017), la bandiera russa con l’aquila bicipite che a differenza di quelle prussiane o austriache guarda a entrambi i lati, e viene perciò virata con i colori della bandiera del movimento bisessuale, o come nei due rahlé, tavoli della tradizione Mediorientale che sorreggono i libri sacri durante la pubblica lettura, Stilbruch (Noblesse Oblige) (2018), e Underage Page (Extended-Turquoise) (2018), che enfatizzano la centralità del libro e della lettura nella loro pratica, dove il visitatore è anche lettore, mostrando come la lettura sia un elemento costitutivo per la soggettività sia individuale sia collettiva. Mentre svetta al centro dello spazio Hamann from the Hood (2018) un grande tappeto, altro leitmotiv nella loro produzione, a metà tra scultura e seduta, che ospita un ritratto di spalle del filosofo e il titolo di un suo opuscolo riprodotto nei termini estetici dei poster per teenager. A completare la mostra la performance Transliterative Tease, tenutesi all’Università di Bolzano e alle OGR di Torino, nella quale gli artisti percorrono l’emancipazione dei suoni di vari alfabeti dell’Eurasia e l’esplorazione dei potenziali della translitterazione.