“La caduta degli dei” è la prima personale di Ryts Monet, a cura di Agnes Kohlmeyer, presso la Galleria Michela Rizzo di Venezia. L’artista prende in prestito il titolo dall’omonimo film di Luchino Visconti proponendo una ricerca che si configura come un “nuovo oracolo dell’età contemporanea”, in un processo di oscillazione continua tra passato e presente, divino e terreno. La caduta diventa uno dei tasselli che compongono la mostra fatti di rimandi concettuali e visivi, parole che, come eco di altre, ritornano guidate dalla simbologia dell’oro e del blu. La parete della prima sala accoglie RIOT (2017), lavoro testuale dove il racconto della comparsa dell’oro sul nostro pianeta dialoga con cinque elementi collocati sotto teca: meteoriti dorati ottenuti dallo scontro di forze celesti, Migrant (2017), che guardano alla situazione politica e umanitaria del nostro tempo. Monet riesce nei suoi lavori a riportare alla luce, mediante lo scontro e l’usura – che sia visiva o tattile, figurata o reale (Grinder, 2017) – una parte magica rimasta nascosta.
Tramite un personale innesco di immagini, ora liriche, talora inevitabilmente pop (Palm Oil, 2016), vengono evocate le criticità del nostro tempo, il continuo bisogno di ricercare immagini, miti e identità che, una volta distrutte, svelano nuovi simboli, generando insolite iconografie di potere e di consumo. La ricerca degli obelischi, raggi del dio sole in pietra, è all’origine di Taking the Shadow of an Obelisk and letting it dissolve into the Sea (2018): una grande cianotopia che, srotolata dal soffitto, appare come un’alchemica unione tra la luce divina e le macerie terresti. Come documenta il video in mostra, l’ombra dell’obelisco di Opicina è stata impressa en plain air per poi essere “lavata” e fissata nell’acqua del Golfo di Trieste. Lavoro poetico e monumentale, intorno ai sette metri, incarna le sembianze di un dipinto, dalla trama irregolare e dai connotati volutamente totemici. “La caduta degli dei” offre al visitatore la possibilità di introdursi in una dimensione di confine tra due mondi, carica di memoria collettiva e storia, alla ricerca di un equilibrio da ricostruire anche al cospetto di antichi guardiani assiri barbaramente distrutti e qui fortunatamente in parte ricostruiti (Lamassu, 2017).