“I am no longer there. But the space is still vivid in my body.” Potrebbero essere mie le parole con cui Jonas Schor rievoca la performance The Invention of Evilness (2019) di Marcelo Evelin sul catalogo di Live Arts Week, festival bolognese delle arti performative. La coreografia dell’artista brasiliano, presentata per la prima volta quest’anno al CAMPO di Teresina, è riproposta per l’occasione a conclusione di una fitta programmazione di eventi che nell’arco di due settimane ha mobilitato un pubblico di oltre 1400 persone. È proprio un frammento di questa performance a incarnare, a mio avviso, lo spirito di questa ottava edizione del festival curato da Xing.
Il momento a cui mi riferisco è quello in cui una platea lentamente invade i ruderi del sotterraneo Cinema Modernissimo, per stringersi in cerchio attorno a un fuoco immaginario e ai corpi nudi dei performer che intorno vi danzano. Celata così agli occhi estranei, nelle profondità del sottosuolo bolognese, una comunità si riconosce tale e si scopre animata dalla stessa fiamma che per giorni ne ha guidato i passi, nonostante il freddo e le intemperie, attraverso le differenti location del festival. Bologna diventa allora scenario di un complesso rituale sociale di cui ogni spettatore è inconsapevole attore e ogni luogo inseparabile da ciò che al suo interno accoglie.
A caratterizzare le dieci tappe di Live Arts Week, sono opere dalla natura ibrida che si servono di differenti linguaggi. In primis il suono, trait d’union comune a tutte le opere ma protagonista assoluto di Chords (2017), concerto per organo e computer di Ellen Arkbro e Marcus Pal presso la Chiesa Evangelica Metodista e Fake Synthetic Music, live di Stine Janvin presso il Salone degli Incamminati della pinacoteca di Bologna. Con il solo utilizzo di un delay – dispositivo elettronico per la ripetizione intervallata d’un suono – la sound artist norvegese, mette in scena un rave decostruito, modulando il proprio timbro vocale per emulare sonorità elettroniche.
Gli spazi della pinacoteca ospitano anche Ghost (2018), performance firmata Barokthegreat in cui una danzatrice si lancia con robotica freddezza in virtuosismi footwork, illuminata da una luce intermittente su un beat in progressiva accelerazione. Numerose le opere che indagano con intenti decostruttivi la club culture, come la performance di Michele Rizzo presso la galleria p420: Spacewalk (2017) e Prospect < E V A > (2019) – realizzata in collaborazione con Billy Bultheel. Oltre alla musica, protagonista di questa edizione di Live Arts Week, è la produzione di ambienti immersivi. Catherine Christer Hennix realizza Soliton(e) Star/Zero Time (rielaborazione di un’installazione realizzata già nel 2005), all’interno di un’anonima stanza di Palazzo Volpe, un ambiente percettivo monocromatico a luce verde in cui ci è concesso in qualsiasi momento di meditare, avvolti da un ipnotico loop sonoro. Presso Gelateria Sogni di Ghiaccio Filippo Marzocchi e Mattia Pajè, direttori dell’artist run-space, realizzano in collaborazione con Giovanni Rendina C’è un inganno nel crepuscolo 2: il white cube è stipato di enormi sculture in cartapesta, teste recise di carri allegorici immerse in un clima di melancolica inquietudine. La traccia audio, prodotta da Daniele Guerrini, determina la peculiare atmosfera emotiva che connota l’intervento ed è inframmezzata da un dialogo scritto da Andrea Magnani in cui, i personaggi in mostra discorrono, tra l’aulico e il frivolo, di paradossi epistemologici e futilità.
Sospesa tra il performativo e il coreografico, è la performance di Sorour Darabi dal titolo Farci.e (2016). Attraverso l’esasperazione di una mimica grottesca e di una gestualità che sfugge ogni possibile identificazione categoriale, l’artista coinvolge sensorialmente lo spettatore deludendone continuamente le aspettative. Darabi siede a un tavolo su cui è poggiato un plico di fogli che non riuscirà mai di leggere. Il testo tra le sue mani subisce la violenza di gesti maldestri: i fogli vengono sparpagliati, bagnati e ridotti a un grumo informe che l’artista sessualizza, leccando, succhiando e ingoiandone buona parte. Il titolo Farci.e fa riferimento al farsi, la lingua Iranica connotata dall’inesistenza di declinazioni maschili o femminili. Il punto di partenza nell’ideazione dell’opera riguarda la difficoltà sperimentata nel parlar francese e trovarsi a dover definire la propria natura androgina.
Musica, teatro, installazione e cinema, convogliano tutte nella più misteriosa delle opere di questa ottava edizione del festival. All’interno di un deposito enologico, Simon Vincenzi orchestra From The Dead Air Orgy: The Song of Silenus (2019), un’opera composta da un’installazione performativa, una diretta streaming che trasforma gli spettatori in comparse di un cinema live e una performance che si ripete per tre notti a mezzanotte. Questo complesso strutturarsi di elementi è utilizzato per ripensare L’Egloga VI di Virgilio che narra il mito cosmologico cantato da Sileno. Così facendo Vincenzi crea un dispositivo complesso in cui, rievocando le origini mitiche del teatro in un contesto che ben si presta a dare risonanza a un immaginario dionisiaco, porta avanti un’indagine analitica del rapporto tra attorialità e spettatorialità, trasformando palazzo Pezzoli in un enorme palcoscenico in cui sfuma il confine che separa realtà e messa in scena.
Un’ambiguità che costituisce il cardine attorno a cui ruota la ricerca di Xing, organizzazione culturale no profit che da quasi vent’anni opera con grande coerenza all’interno di un contesto tra i più vivaci del panorama italiano, e che con questa nuova edizione della Live Art Weeks segna un momento importante nella storia della manifestazione: quello in cui l’evento sconfina le modalità e i luoghi consueti, per colmare i vuoti d’un contesto più ampio.