Sulla copertina di Networking the Bloc. Experimental Art in Eastern Europe 1965-1981 (The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, Londra) di Klara Kemp-Wench campeggiano Helena Kontova e Giancarlo Politi nell’abito nuziale realizzato per loro dall’artista Milan Knížák. Si tratta di un’immagine perfettamente rappresentativa del cuore del volume: le relazioni, gli affetti, i legami come motori delle sperimentazioni della scena artistica dell’Est Europa durante la Guerra Fredda. Lo studio di Klara Kemp-Welch aggiunge un tassello fondamentale alla ricostruzione delle ricerche legate alla arte concettuale, dove “concettuale” è un termine imperfetto: servirebbero infatti le quasi venti righe che compongono il titolo completo di Six Years: The Dematerialization of the Art Object from 1966 to 1972 di Lucy Lippard per avvicinarsi all’estrema varietà dei fenomeni artistici analizzati da Networking the Bloc.
Mail art, performance, residenze artistiche, riviste, antologie, fotografie, installazioni: ciò che tiene insieme questa complessa diversità non è un principio formale, né un criterio storico-geografico, quanto piuttosto il modello teorico dell’actor-network formulato da Bruno Latour. Si tratta dell’idea secondo cui i fenomeni sociali, e tra questi l’arte, siano “ri-assemblati” dalle relazioni umane, dagli scambi comunicativi. Seguendo questo approccio, il testo non si limita ad offrire una mappatura cronologica, ma traccia analogie semantiche e legami estetici tra fenomeni artistici, persone, manifestazioni, festival, libri. Ed è proprio grazie all’interazione tra questi elementi se l’arte può assumere i tratti di una dichiarazione politica.
L’autrice ci invita a ricostruire il panorama artistico dell’Est sovietico durante la Guerra Fredda: i principali attori della rete tracciata da Kemp-Welch sono disseminati in centri come Budapest, Poznán e Praga, ma costruiscono ponti verso il Regno Unito, l’America, l’Italia, la Russia, coprendo un arco temporale che va dalla Primavera di Praga alla seconda metà degli anni ’70. In particolare sono tre i momenti isolati dall’autrice, che assegna a ciascuno una dinamica sociale: la mobilitazione del network dalla metà degli anni ’60 fino al 1972, alcuni punti di passaggio nel periodo 72-75, fino alle convergenze della fine degli anni ‘70.
Durante la lettura di Networking the Bloc riecheggiano le storiche riflessioni di Lucy Lippard sulla dematerializzazione dell’oggetto artistico, fenomeno rilevato dalla critica nella sua fondamentale rassegna delle sperimentazioni concettuali della fine degli anni Sessanta. Tuttavia, se l’opera di Lippard suggerisce a Kemp-Welch uno sguardo “globale”, non limitato ai fenomeni artistici europei e statunitensi, l’autrice di Networking the Bloc sembra criticare la nozione di dematerializzazione quando pone l’accento sulla presenza concreta di materiali di scambio, veicoli di informazioni senza i quali sarebbe stato impossibile costruire le comunità artistiche del blocco sovietico.
La costellazione di esperienze documentata dall’autrice è animata da una presa di posizione sullo statuto dell’arte concettuale, che piuttosto che essere dematerializzata è all over the place, sparpagliata dappertutto, pervasiva anche delle zone vietate dalla censura e dalle politiche restrittive. È proprio l’urgenza di comunicare all’esterno e all’interno del blocco a fornire a Kemp-Welch il metodo e allo stesso tempo l’oggetto dell’analisi critica: attraverso la ricostruzione degli scambi epistolari, le frequentazioni, le amicizie tra artisti, critici e curatori, Networking the Bloc ribadisce il significato politicamente sovversivo dello scambio di informazioni.