Arte e femminismi è una nuova rubrica che nasce con l’intento di sollecitare una riflessione costante e aggiornata sui dibattiti, gli studi, le mostre nazionali e internazionali che affrontano i rapporti tra arte, movimenti femministi e LGBTQ, nevralgici nell’odierno scenario politico e culturale. Questo testo inaugura la rubrica a cura di Raffaella Perna.
Nel 2017, in occasione dei cinquant’anni dalla fondazione di Flash Art, ho ricevuto da parte della redazione l’invito a riflettere, in dialogo con Paola Mattioli, sulla scarsa attenzione critica riservata negli anni Settanta in Italia ai legami tra arte e femminismo, e più in generale all’arte delle donne. Il fatto che la proposta arrivasse dalla rivista è sintomatico della rinnovata e profonda consapevolezza di Flash Art nei confronti della centralità assunta dal femminismo nelle vicende dell’arte e della cultura visiva della contemporaneità. Su questi temi, una più recente occasione di collaborazione è arrivata con la mostra Il Soggetto Imprevisto. 1978 Arte e femminismo in Italia (che ho co-curato con Marco Scotini presso Frigoriferi Milanesi), di cui Flash Art, in quanto partner, ha pubblicato il catalogo. Dalla mostra milanese nasce l’idea di questa nuova rubrica, Arte e femminismi, pensata per dare continuità, secondo una formula diversa, all’esperienza espositiva, e soprattutto per sollecitare una riflessione costante e aggiornata sui dibattiti, gli studi, le mostre nazionali e internazionali che affrontano con declinazioni, metodologie e approcci disciplinari differenti, i rapporti tra arte, movimenti femministi e LGBTQ, nevralgici nell’odierno scenario politico e culturale. La rubrica ha uno sguardo bifronte, rivolto contemporaneamente al passato e al presente, ed è concepita come un spazio in cui è possibile trovare saggi storico-critici, affondi teorici, documenti, informazioni, interviste e video-interviste, dedicati sia a figure e vicende spesso poco note della storia dell’arte italiana del XX secolo, sia a questioni e dibattiti attuali legati al ruolo del femminismo nell’ambito del neoliberismo e in relazione a contesti geopolitici considerati periferici secondo il canone occidentale.
In Italia, lo si è detto spesso, l’arte delle donne è stata a lungo trascurata dalla tradizione storiografica e gli studi di genere, soprattutto in campo artistico, hanno faticato a trovare piena legittimità. Diversamente da altri paesi, specialmente di area anglofona, dove a partire dagli anni Settanta e Ottanta si è proceduto a dare visibilità alle artiste del passato, talvolta cadute nell’oblio, e nel contempo a sperimentare nuovi strumenti analitici per una riscrittura radicale della storia dell’arte, in Italia questo percorso si è rivelato una strada particolarmente accidentata, battuta per circa tre decenni soltanto da poche studiose e curatrici, i cui contributi appaiono oggi ancor più meritori in virtù della disattenzione entro la quale queste ultime si sono trovate a lavorare. In anni recenti la situazione è cambiata: lo stupore e l’interesse con cui sono state accolte molte delle opere esposte nella già ricordata mostra a Frigoriferi Milanesi hanno reso più chiara l’urgenza di ulteriori approfondimenti storico-critici di carattere non episodico, favoriti anche dalla partecipazione in prima persona a questa rubrica di alcune protagoniste degli anni Settanta, le cui testimonianze e archivi sono una fonte preziosa per documentare non soltanto il loro lavoro, ma anche il contesto sociale e artistico dell’epoca.
Contemporaneamente, la rubrica è pensata per contribuire a una riflessione sull’oggi, e in particolare sulle sfide e le contraddizioni sollevate dalla critica femminista in relazione al rapporto tra arte, mercato neoliberale e globalizzazione. Quali strategie vengono messe in campo dalle varie figure operanti nel sistema dell’arte che riconoscono nel femminismo un cambiamento epistemologico ed esistenziale fondamentale per la loro azione? È possibile alterare lo status quo agendo entro un contesto di relazioni e istituzioni che tendono a incorporare e addomesticare anche le forme d’arte più radicali, e quale ruolo può giocare il femminismo in questo ambito? L’inclusione e la visibilità sono gli obiettivi a cui mirare? Su questi e altri interrogativi si propone di riflettere la rubrica che, auspicabilmente, raccoglierà voci e contributi molteplici, talora discordanti. Concludo questa breve nota introduttiva con un ringraziamento a Flash Art, in primis a Gea Politi, ricordando le parole di Carla Accardi, fondatrice nel 1970 con Carla Lonzi ed Elvira Banotti di Rivolta Femminile: «La donna, operando in un campo da cui è stata “esclusa”, fa una azione automatica di sovvertimento nei riguardi dell’arte-potere, dell’arte mito, dell’arte privilegio. […] Smitizzare il gesto artistico del fare per riportarlo sul vivere fa parte della storia della donna»1.