The Ghost in the Machine XXXV CIHA / Firenze di

di 20 Settembre 2019

Si è da poco concluso, a Firenze, il 35esimo Congresso Mondiale di Storia dell’arte del CIHA, Comité International d’Histoire de l’Art, tornato in Italia dopo oltre quarant’anni dall’ultimo convegno tenutosi a Bologna nel 1979. Con circa centoventi relatori e relatrici provenienti da università e centri di ricerca internazionali, il congresso, articolato in nove sessioni, è stata un’occasione di confronto significativa per la qualità dei contributi e la ricchezza di prospettive e metodologie messe in campo. Il tema “Motion: Trasformation”, concepito per riflettere sulla “vita” di opere d’arte, immagini e manufatti, è stato difatti affrontato da molteplici angolazioni, secondo gli ambiti disciplinari e le aree di ricerca specifiche dei vari relatori, con una visuale molto ampia, in grado di spaziare sia dal punto di vista cronologico, dalla preistoria all’oggi, sia geografico, in un’ottica dichiaratamente postcoloniale e transculturale. La sessione moderata da Rakhee Balaram (University at Albany) e Flavio Fergonzi (Scuola Normale Superiore di Pisa), il cui titolo The Ghost in the Machine si rifà alle teorie espresse nel 1949 da Gilbert Ryle, ha raccolto numerosi interventi sulla contemporaneità; il sottotitolo The Disappearance of Artists, Critics, Viewers? ha specificato i nodi critici attorno ai quali i relatori sono stati invitati a riflettere, in particolare le relazioni e i limiti tra l’opera d’arte e la critica, la nozione di autenticità e riproducibilità, il cambiamento degli strumenti interpretativi e delle modalità di fruizione ed esposizione dell’opera nell’attuale scenario globale e digitale. Gli interventi della mattina si sono concentrati soprattutto sui rapporti tra opera e critica d’arte, esaminati a partire da differenti contesti geografici e culturali. Ad aprire la sessione è Ling Min (Fine Arts Academy of Shanghai University), con una riflessione sulla trasformazione dei legami tra arte e critica in Cina, dal periodo pre-Qin (prima del 221 B.C.) fino ad oggi, volta a mettere a fuoco le ricadute e il peso decisivo dei cambiamenti sociali, politici ed economici sulla critica d’arte cinese, nelle sue varie fasi. Al Medio Oriente è invece dedicato il contributo di Nadia Radwan (Universität Bern, Institut für Kunstgeschichte), che si è concentrata sul caso della collezione permanente di arte moderna e contemporanea dello Sharjah Art Museum negli Emirati Arabi. Radwan ha portato l’attenzione, in particolare, su due ritratti presenti nella collezione, dipinti dall’artista siriano Louay Kayali (Sorrow, 1971) e dall’iracheno Faiq Hassan (Student model, 1989), in uno stile che non riflette la tradizione nazionalista mediorientale, né trova posto nella narrazione storico-artistica occidentale, per i cui canoni entrambe le opere sarebbero da considerarsi attardate e anacronistiche. A partire da questi dipinti – non riconducibili a modelli storiografici consolidati – la relatrice ha condotto una riflessione sul giudizio critico, postulando la necessità di uno sguardo ravvicinato rivolto all’identità dell’opera, piuttosto che alla sua alterità.

Gli effetti della tecnologia digitale sul sistema dell’arte e della critica sono stati al centro della sessione pomeridiana, durante la quale si sono alternati diversi contributi dedicati alla “sparizione” e dell’artista e dell’opera. Sulla dematerializzazione dell’artista e sulla trasformazione della nozione di autore si è focalizzato l’intervento di Sara De Chiara (Università di Roma La Sapienza), che ha preso le mosse dalla recente vendita all’asta dell’opera Portrait of Edmond Belamy (2018), creata mediante l’intelligenza artificiale dal collettivo Obvious, battuta all’asta nell’ottobre del 2018 da Christie’s per la cifra sbalorditiva di $ 432.500. La relazione di Pamela Bianchi (Université Paris 8) ha invece affrontato le recenti modalità espositive di opere e manufatti perduti o rimasti incompiuti, attraverso l’esame di tre diversi casi: il museo virtuale The MoRE Museum (Museum of Refused and Unrealized Arts Projects); la mostra digitale “The Gallery of Lost Art”, ideata dalla Tate Gallery di Londra nel 2012; il progetto artistico Incompiuto Siciliano (2008) realizzato dal gruppo Alterazioni Video. Ognuna di queste esperienze ha permesso di riflettere, da una differente angolatura, sulle molteplici implicazioni della sparizione dell’arte in termini di fruizione, conservazione, statuto dell’opera e del dispositivo espositivo.

A conferma della vocazione internazionale del congresso e della sua rilevanza nel panorama dell’attuale ricerca storico-artistica, una seconda tappa è prevista l’anno prossimo, dal 13 al 18 settembre, a San Paolo in Brasile.

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Raffaella Perna