Maurizio Cattelan Blenheim Palace / Woodstock di

di 9 Ottobre 2019

L’enorme Victory is not an option (2019), l’opera che da’ il titolo alla personale di Maurizio Cattelan presso il Blenheim Palace, è preceduta da un carpet rosso blu e bianco. Richiamando la bandiera inglese e interpretando ironicamente il luogo – il palazzo fu costruito dall’architetto inglese John Vanbrugh tra il 1705 e il 1722 per la famiglia Churchill, nobili di Marlborough, con lo scopo di mostrare ai francesi che anche gli anglosassoni avrebbero avuto la loro Versailles, più piccola e meno barocca – Cattelan si ispira al conflitto fra Inghilterra e Francia, o almeno così sembra osservando una delle nuove opere site specific visibile all’ingresso: We’ll never die (2019). Si tratta di una scultura monumentale che rappresenta una bandiera bianca sorretta con fermezza e passione dal braccio di Giovanna D’Arco (ripresa da quella di Emmanuel Frémiet a Parigi). Cattelan non scherza, o se lo fa, è molto serio. L’artista costruisce un gioco che fa vivere lo spettatore all’interno di una brutta copia della Cappella Sistina in miniatura, dipinta male ma d’impatto straordinario. L’opera, Untitled (2018), è arrivata in Europa per la prima volta dalla Cina, dove fu esposta nella mostra in collaborazione con Gucci sul tema del falso.

Dunque Cattelan gioca, ma seriamente. Come del resto ha sempre fatto, rielaborando poetiche e percorsi in una maniera complessa, perché per la prima volta è invitato a interagire con un luogo denso di storia, di oggetti, di vita e morte. L’ex dimora di Sir Winston Churchill è infatti una casa museo, con tutti i suoi arredi originali e quei ninnoli da collezione che si sono accumulati nel tempo. Ed è ironico e al contempo forte osservare i visitatori increduli nel vedere un cavallo imbalsamato – Novecento (1997) – sulle proprie teste; o un coccodrillo vintage che pende anch’esso dal soffitto; o, ancora, tra le foto di famiglia, due autoritratti, ironici e drammatici allo stesso tempo – Lessico Familiare (1989) e Untitled (2000). Opere storiche e altre realizzate appositamente per questo progetto.

Lavori che colpiscono, che inquietano e fanno persino paura – come Oliver and Tom (2019), il senzatetto dormiente sulla panchina di una cappella, proprio in relazione a una grande scultura in marmo dove sono appostati i piccioni di Others (2019), installati come mai prima. E poi opere più leggere, come la nuova installazione a parete Glory Glory Hallelujah (2019), composta da tre scheletri di teste di cavallo ricoperti da un’armatura dorata. Un’archeologia posticcia in un contesto saturo e invecchiato.

Il percorso della mostra, da affrontare come una caccia al tesoro dove si scovano altre opere come il Mini-Me (1999), che spia il pubblico dall’alto di un luogo nascosto, terminava con un’opera simbolica di cui tanto si era parlato nel 2016, quando fu installata all’interno di uno dei bagni del Guggenheim di New York: America, il water da 96 chilogrammi d’oro, rubato peraltro la notte dell’opening. Questa atmosfera surreale richiama l’Angelo sterminatore di Buñuel (dove, durante una festa in un palazzo borghese, cala il silenzio e accade di tutto) e restituisce alla mostra un simulacro misterioso. Ma poco importa se l’opera esiste ancora, perché le tappe del percorso sono egualmente importanti. C’è una sala, quella della biblioteca, dove Him (2001) è al centro, di spalle rispetto all’entrata. Non manca questa rappresentazione di Hitler che, da dietro, pare un bambino inginocchiato vestito da adulto e che si è ampiamente vista in contesti sempre diversi, spesso drammatici (dal Castello di Rivoli al cortile malconcio dell’unica casa originaria sopravvissuta nel Ghetto di Varsavia; da la Monnaie di Parigi fino alla retrospettiva newyorkese del 2011). Ci sono tensione e mistero anche nella Nona Ora (1999), l’opera che raffigura il papa sdraiato che soccombe sotto una grande pietra, forse un meteorite, qui installata in un salotto davanti a un camino. Non è semplice inserirsi in un luogo così storicamente connotato, eppure a Blenheim succede proprio questo. Anche Daddy Daddy (2008) ha subito un’evoluzione: qui è in versione più grande e installato nella grande fontana della terrazza esterna del palazzo.
Pinocchio sta annegando, o forse semplicemente nuota a faccia in giù. E lo spettatore osserva la scena dalla finestra.

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Rossella Farinotti