Più che una mostra, “An Experiment is Not About Creating Novelty”, la seconda personale di Arseny Zhilyaev alla galleria C+N Canepaneri di Milano, si presenta come uno spazio contraddittorio, un universo collassato retto da palinsesti fragili e difficili da decifrare. Un sistema di senso in cui convivono, in reciproca implicazione, autorialità e anonimato, modernismo e fantascienza, metafisica e attivismo politico.
Le grandi tele bianche esposte sono movimentate da singolari arabeschi ricamati a monocromo: avvicinandosi si distinguono frasi sconnesse e sottili linee di forza, che fanno vibrare le superfici materiche di un’intensità mentale inedita. Sono opere che richiamano la grande tradizione delle avanguardie russe che Zhilyaev, come emerge dai suoi scritti teorici, ha studiato a fondo: i quadrati bianchi di Malevič, gli esperimenti linguistici Zaum.
Ma le coordinate sono radicalmente cambiate: questa è infatti un capitolo di una serie di mostre che l’artista immagina aver luogo in un futuro non lontano. I versi sulle tele sono generati da algoritmi e la paternità delle opere in mostra è attribuita a Robert Pasternak, artista generativo progettato, nella finzione di Zhilyaev, da un programmatore russo emigrato in America.
Cosa succede se il lessico dell’avanguardia, per definizione “sconfitta del conformismo che ogni tempo produce”, si riscopre invece come prodotto formalizzato da un algoritmo?
Ecco che le grandi tele di Zhilyaev, osservate da una prospettiva cosmista e post-umana, si rivelano improvvisamente nel loro aspetto più perturbante: fantasmi di un modernismo straniato, ci parlano della morte del genio e del concetto stesso di creatività. Al contempo, in un clima di utopica liberazione, emerge dalle opere dell’artista russo un sospetto: che l’arte – spogliata delle sue retoriche e dei suoi tabù “troppo umani” –, in questo enorme archivio robotico che ibrida compulsivamente e all’infinito storia e post-storia, reale e potenziale, possa arrivare a scoprire qualcosa di nuovo su se stessa?