Dagli anni Sessanta l’opera di Anna Oberto è rivolta alla ricerca di un linguaggio nuovo e libero dai canoni linguistici imposti dalla società patriarcale, per il recupero di una forma d’espressione in cui la donna possa “segnificare la propria identità” 1. Il desiderio di sovvertire le regole di comunicazione vigenti attraverso la ricerca di una forma di scrittura “al femminile”, si traduce in un primo momento in azione femminista militante. Nel 1971, sul decimo numero di Ana Excetera appare infatti il “Manifesto Femminista Anaculturale”, in cui l’artista pubblica il suo testo d’introduzione alla mostra “Esposizione internazionale operatrici visuali” promossa da Ugo Carrega nel gennaio 1972 al Centro Tool di Milano, rivelando un sistema culturale discriminante nei confronti dell’artista donna e riflettendo sul ruolo del movimento di poesia visuale, atto alla “liberazione femminile come liberazione del linguaggio”, nel contesto dei movimenti di liberazione femministi. Nel 1975 Anna Oberto aderisce al gruppo di Nuova Scrittura per il quale aveva creato un manifesto originale dal titolo “Nuova scrittura al femminile” 2, ribadendo l’urgenza di un processo emancipatorio della donna attraverso la trasformazione dei codici del linguaggio maschile. Disegnando a matita il profilo di una mano e le parole “scrittura a mano”, l’artista individua nella calligrafia una forma di comunicazione propria della donna, in opposizione alla sterile mascolinità della scrittura a macchina 3. Progressivamente, Anna Oberto si allontana dalle istanze della ricerca artistica femminista sviluppando un discorso sulla scrittura al femminile evocativo e autobiografico. Da questo momento, il ricorso alla fotografia istantanea costituirà un tratto distintivo della sua pratica: l’artista integra le fotografie polaroid al ventaglio d’elementi che concorrono alla creazione di un nuovo linguaggio al femminile. La scelta di questo medium si deve, come dichiara l’artista, alla vellutatezza, alla sensualità e alla profondità del colore, come unica specificità delle pellicole polaroid. L’utilizzo estetico-narrativo delle polaroid nella pratica di Oberto si distingue dall’impiego che altre autrici ne hanno fatto nel medesimo contesto artistico-culturale, ad esempio l’evento presso la galleria di Porta Ticinese di Gigliola Rovasino nel 1979, quando Marcella Campagnano, solita coinvolgere i suoi soggetti fotografici in travestimenti, aveva ritratto chiunque volesse farsi fotografare scegliendo l’apparecchio polaroid per le sue qualità di istantaneità ed immediatezza nel processo interattivo di un’azione collettiva. Nella serie Diario V’ideo-senti/mentale, 1974, Anna Oberto realizza una serie di polaroid in bianco e nero e a colori con il negativo, che registra i primi segni di scrittura e le prime parole del figlio Eanan ai diciotto mesi di età, osservandone l’evoluzione nell’apprendimento dei linguaggi. Disposte su fogli bianchi, le polaroid sono abbinate a disegni, nastri registrati e riflessioni scritte a mano, nella forma di un collage che ricorda le pagine di un diario intimo. La polaroid come elemento narrativo non lineare è presente nell’opera Il mare deve vivere, 1979, concepita in binomio con l’artista genovese Angelo Pretolani. Si tratta di una raccolta epistolare in cui, alle lettere di Pretolani battute a macchina, Oberto risponde con lettere scritte a mano e polaroid a colori, tracce sensibili o “impronte” 4 dei concetti espressi dalla scrittura. Il contrasto tra l’asetticità della scrittura a macchina e il lirismo della calligrafia evoca, per l’artista, il tema dell’emancipazione della donna attraverso l’impiego di modalità narrative autonome.
Dagli anni Ottanta in poi, la ricerca di un linguaggio multisensoriale, nato dall’interazione di mezzi di comunicazione differenti, orienta Oberto verso pratiche performative. Trait d’union delle sue performance sono la ricorrenza di figure archetipiche e la natura, madre e forza creatrice, come fonte d’ispirazione. Trascendendo la ricerca sul linguaggio, i rituali olistici di Oberto procedono da uno stato mentale o da un’esperienza autobiografica. In Mer Mère Aimer, ultima performance della trilogia Scritture d’Amore: Diario. Cerimonia per Adele H. 1980-1984, l’artista mette in scena figure letterarie femminili tratte dai suoi scritti e da quelli di Adèle Hugo, Jane Austen, Marguerite Duras e John Fowles, nelle cui biografie ricorre il mare come ostacolo o veicolo della comunicazione di messaggi d’amore. Nel corso di questo rituale della liberazione del sé, che risulta dall’accettazione dell’incomunicabilità del desiderio, alcune polaroid affiorano da vasche d’acqua come frammenti di racconto ed eco di ricordi lontani. L’artista sceglie di impersonificare figure mitiche come strategia di rappresentazione del femminile. In occasione dell’Evento di AP (Anna Perenna), 1989, divinità romana legata al culto della fertilità, Oberto è accompagnata dal Sacerdote Pierandrea Casati “al suo tempio”, la galleria Pinta di Genova, dove la mostra “Si apre la parola”, presenta una selezione di opere di scrittura e polaroid, esemplificativa del potere narrativo di queste ultime, dalle quali secondo Oberto “scaturiscono le parole”. Nell’opera Mitobiografìa. Scritture di Luce. Cassandra. La consapevolezza di sé, 1994-1999, richiamando la figura di Cassandra, simbolo della parola femminile inascoltata, l’artista indaga il tema dell’identità, dello sguardo della donna su se stessa, della maschera come forma di protezione, realizzando una serie di polaroid dagli effetti di sgranatura e sovraesposizione il cui sapore onirico e il virtuosismo formale testimoniano, come nella serie sul mito di Melusina, Mère Luisine. Variazioni lacustri, 2001-2006, del perfetto equilibrio tra ricerca estetica e sperimentazione verbo-visiva che definisce la maturità artistica di Anna Oberto.