“MECARÕ. Amazonia in the Petitgas Collection” al MO.CO. è la prima presentazione istituzionale della collezione di Catherine Petitgas, collezionista d’avanguardia e storica dell’arte londinese – e co-autrice di Contemporary Art Brazil, Contemporary Art Mexico e Contemporary Art Colombia, editi da Thames & Hudson e TransGlobe. Petitgas ha preso parte nel consiglio di amministrazione di importanti istituzioni, tra cui Tate dal 2004, e presiede altre due organizzazioni minori: Triangle Network e Fluxus Art Projects. Dalla sua collezione i co-curatori della mostra, Vincent Honoré, Anna Kerekes e Jacqueline Kok, hanno selezionato opere di artisti le cui pratiche spaziano fra diversi media, fra cui video, performance, fotografia, installazione e ceramica. Per l’inaugurazione di “MECARÕ” – parola che nella lingua indigena dei Krahô indica lo “spirito della foresta” – al centro del giardino del museo è stato installato un carretto ambulante di gelati che distribuiva lecca-lecca a forma di organi umani. Questa era la performance interattiva del collettivo Opavivarà!, un espediente per affrontare il tema della decolonizzazione attraverso una sorprendente reinterpretazione dell’approccio al cannibalismo.
All’interno dell’edificio l’installazione immersiva e sinestetica di Oswaldo Maciá, composta da una stanza gialla con altoparlanti e un diffusore di profumo, allude alla scomparsa delle orchidee selvatiche e delle api che le impollinano. La mostra inizia con opere concretiste degli anni Sessanta e Settanta di Hélio Oiticica, Ivan Serpa e Lygia Clark (una delle tante artiste della collezione Petitgas, il cui lavoro raramente è visibile in Europa) la cui iconica Bicho (1965) sfida l’idea di scultura come forma statica idealizzata. A queste figure storiche si affiancano i lavori di Erika Verzutti e Maria Nepomuceno. La sezione successiva si snoda sulla nozione di gambiarra (in portoghese “fai da te”) ed è dedicata agli habitat urbani e al loro caos intrinseco. Gli assemblaggi di Alexandre da Cunha sono realizzati con oggetti trovati o di uso quotidiano, e trasformati in sculture minimaliste intrise di significati spirituali. Le fotografie e le sculture di Paulo Nazareth evidenziano retaggi di culture marginalizzate e cosmogonie non occidentali. La mostra prosegue con le opere di Manuela Ribadeneira, Claudia Andujar, Anna Bella Geiger ed Ernesto Neto, che affrontano le conseguenze del colonialismo e le urgenti questioni ambientali che impattano sull’Amazzonia.
Nonostante l’ultima sezione sia specificamente dedicata al “femminismo tropicale” con opere di Sol Calero, Teresa Margolles e Sandra Gamarra, l’impegno femminista e l’attivismo locale e globale attraversano fluidamente l’intera mostra. La complessità delle opere sta nella loro seducente e ibrida ambiguità. La mostra riflette lo spirito visionario e avventuroso dell’eclettica Catherine Petitgas, la cui collezione è insieme storica e squisitamente attuale.