Dustin Cauchi: The Opioid Crisis Lookbook di

di 25 Settembre 2020

Just Follow Me! è un viaggio curatoriale nell’infosfera Instagram. La rubrica mensile, a cura di Clara Mazzoleni, restituisce immaginari trasversali attraverso una selezione di progetti che danno voce alle controculture visive.

Nel 2018 negli Stati Uniti almeno 46mila persone sono morte di overdose di farmaci o sostanze a base di oppioidi. In generale, la crisi ha causato la morte di oltre 700.000 persone e il bilancio delle vittime dovrebbe aumentare almeno fino al 2030. Nel 2019, in Italia, il Sistema nazionale di allerta precoce coordinato dall’Iss ha rilevato un incremento delle morti per overdose di eroina. Gli articoli, i dati, le cifre e i grafici nascondono una miriade di storie individuali, che insieme compongono un’epidemia che non si ferma ma si evolve e si trasforma, come una creatura viva.

Per anni ho tentato di scrivere del mio periodo di tossicodipendenza, nel tentativo di dargli un senso. Ma come scrive l’artista Dustin Cauchi (Valletta, 1981) per spiegare il suo progetto The Opioid Crisis Lookbook, di cui parleremo qui, “l’esperienza personale non dovrebbe diventare una linea guida nemmeno per se stessi. In questo spirito, il numero 1 di OCL non ha un focus o un tema. Il punto comune è una relazione con la dipendenza, che però riguarda tanto la cultura della droga tanto quanto il colossale fallimento di un sistema che sta esalando i suoi ultimi respiri”. Nemmeno io, nel mio fantomatico libro, volevo parlare soltanto di me: sognavo di includere nel mio racconto tante altre storie, le immagini che mi avevano ispirato e in cui mi ero riconosciuta, e quelle in cui, diversi anni dopo aver smesso di drogarmi, continuavo a riconoscermi. Quando ero tossica non mi sentivo sola: sentivo di far parte di un’ampissima comunità, ricca di riferimenti e rappresentazioni, artistiche e non. Fotografi, popstar, scrittori, personaggi dei film e delle serie tv, libri, video musicali, aneddoti di vite altrui, fatti di cronaca, dati: volevo mescolare e sovrapporre le storie degli altri alle mie esperienze reali e personali.

Mentre cercavo di maneggiare questa mole di materiale con la scrittura, senza mai riuscirci, c’era qualcuno che trovava il modo perfetto per organizzarla e condividerla: nel 2019, su Instagram, è nato The Opioid Crisis Lookbook, un progetto che raccoglie e racconta le immagini, le storie, i simboli, i miti, la cultura visuale e la retorica che ruota intorno alle droghe pesanti e, più nello specifico, alla recente epidemia degli oppiodi negli Stati Uniti. Il 10 settembre  2020 OCL è diventato un magazine da collezione: il numero 1 è “un pastiche depressivo” composto da quasi 250 pagine di immagini e storie, divise in sette sezioni: Peak, Emo, Crash, Craving, Warfare, Gone, Redemption.

Clara Mazzoleni: Com’è nata l’idea di The Opioid Crisis Lookbook?
Dustin Cauchi: Ho pubblicato il mio primo post il 19 settembre 2019. Da tempo osservavo lo sviluppo della crisi degli oppioidi negli Stati Uniti. La crisi è stata ed è tuttora documentata principalmente attraverso i media giornalistici e quando questo accade, alcune voci o narrazioni vengono soppresse o semplicemente non comprese. Uno degli scopi di OCL è rendere disponibili narrazioni marginali, offrire una lettura delle narrazioni dominanti e rintracciare, riconoscere e celebrare la cultura che la crisi crea, senza vergogna, tabù e sensi di colpa. Mi sono sentito e mi sento ancora più forte ora che il linguaggio del dolore e della miseria è universale. Appiattisce le divisioni razziali, di genere, di classe e sociali. Allo stesso modo, le tossicodipendenze nate dalla prescrizione legale – che colpiscono persone che non hanno nulla a che fare con la controcultura della droga – sfatano l’intera mitologia e il malinteso del tossicodipendente come una sorta di individuo debole che dovrebbe “semplicemente dire di no”. Direi che una delle forze trainanti del progetto è l’empowerment, la convinzione che – senza essere troppo drammatici – se cadiamo insieme allora forse possiamo rialzarci insieme.

CM: Questo progetto ha qualcosa a che fare con la tua esperienza personale?
DC: Sono cresciuto in un quartiere a luci rosse, in un contesto di droga e criminalità, ma in una condizione semi-privilegiata – maschio, bianco, classe operaia – alla fine degli anni ‘80. L’ingiustizia sociale, la misoginia, la discriminazione e la violenza erano tangibili, ma lo erano anche il calore umano, la solidarietà, l’ambizione. Crescere lì mi ha marchiato con una sorta di sindrome di Bruce Wayne: ho capito subito che per entrare in empatia o addirittura capire chi mi circondava, dovevo prima buttarmi in quel tipo vita. Ho provato l’eroina per la prima volta quando ero adolescente con un gruppo di amici, eravamo arrabbiati e annoiati, con grandi sogni ma pochissime risorse, personali, culturali o altro. La natura materna, quasi spirituale dell’eroina era confortante, mentre scivolavo senza controllo in una quotidianità di dolore e criminalità. Penso che ogni drogato o ex drogato concorderà sul fatto che l’eroina è qualcosa a cui ti agganci perché ne hai bisogno in quel momento della vita – e smetti di farlo quando non ne hai più bisogno. Il trucco è restare vivi fino a quel momento.
Ho avuto diverse esperienze di riabilitazione: dall’intervento familiare alla riabilitazione forzata, dalla riabilitazione come scelta personale a quella alternativa al carcere. Niente ha funzionato per me, nessuna terapia di gruppo, nessuna riunione di NA (Narcotics Anonymous), nessun programma in dodici fasi. Dall’eroina sono passato al Suboxone – sono stato uno dei primi nell’UE a ricevere Suboxone con il falso pretesto che fosse un’alternativa che non crea dipendenza – quindi ho sperimentato in prima persona la devastazione dei farmaci da prescrizione “sicuri”. Il Suboxone si è dimostrato avvincente come l’eroina, ma mi ha tenuto lontano dalla strada e mi ha dato il tempo di riorganizzare la mia vita. È stato davvero difficile smettere e mi ci è voluto un bel po’ per rimettermi in piedi.

CM: OCL è nato su Instagram e ha fin da subito saputo sfruttare perfettamente tutti i suoi formati: post, didascalie, commenti, gallerie, storie, filtri. Poi, però è diventato una rivista. In effetti scorrendo il feed e guardando le stories ho spesso sentito l’esigenza di poter tenere in mano tutto quel materiale e poterlo osservare e leggere con un tipo di concentrazione diversa. Sentirne il peso tra le mani, vedere le immagini stampate in grande.
DC: Il pubblico che segue OCL va dagli adolescenti angosciati alle mamme dipendenti dall’Ossicodone, agli spacciatori, alle celebrità e qualsiasi altra via di mezzo. Quindi in un certo senso Instagram è un vernacolo che accorcia le distanze e rende le informazioni più accessibili attraverso un formato familiare e facile da digerire. È anche molto efficace quando si tratta di tenere il passo con i follower che ti scrivono e condividere le loro esperienze su un’interfaccia che li fa sentire al sicuro perché è qualcosa che conoscono e usano costantemente. Trovo il formato IG molto interessante ed espansivo di per sé come una forma di comunicazione non pretenziosa. Ad esempio, il modo in cui uso le storie è un po’ come un feed televisivo: costante, pulsante, quasi come il subconscio del progetto.
OCL Issue 1 si è sviluppato in collaborazione con Dasha Zaharova e i curatori e scrittori parigini Pierre Alexandre Mateos e Charles Teyssou, tra Parigi e Barcellona. La trasformazione in rivista è stata molto naturale. Affronta la necessità di raccogliere queste informazioni in un formato accessibile, tangibile e riconoscibile. Mi piacciono le riviste, ma ne trovo pochissime in giro che mi entusiasmano, quindi è davvero bello produrre una rivista che sento di voler acquistare, leggere e collezionare. Un anno fa abbiamo iniziato a lavorare su un formato di rivista gratuito con un layout influenzato dalle riviste patinate per adolescenti mescolato a toni deliberatamente oscuri. Abbiamo osservato dalle nostre esperienze personali (che valgono solo per noi stessi) come il consumo di droga fiorisca in questa strana fase dell’adolescenza in cui la noia provinciale si alterna al fascino per le mitologie della droga trasmesse dai tabloid e dalla cultura delle celebrità. Assumere droghe, essere parte di questa esperienza da adolescente potrebbe essere inteso come un tentativo di divinizzarsi attraverso una lenta esperienza di morte (o di gestione della morte). Con “divinizzarsi” intendo che l’assunzione di droghe può essere intesa come una prova personale, un calvario: il rituale di un’esperienza pericolosa per provare a te stesso e agli altri sia la tua innocenza che la tua autenticità.

CM: Ho sentito dire che OCL ha attirato l’attenzione di Courtney Love. È vero?
DC: Subito dopo aver creato l’IG, ho ricevuto un DM da Courtney Love: aveva appena fatto il check-in allo Chateau Marmont per stare fuori dai guai abbastanza a lungo da scappare da LA e andare a Londra per ripulirsi, cosa che ha fatto, e dove è ancora in questo momento. La nostra prima conversazione è stata più o meno questa: le ho chiesto cosa stesse facendo e lei ha detto che stava mangiando M&M’s, quindi ho chiesto quali le piacevano piacessero – “regular o arachidi?” – Lei ha risposto regular e io ho replicato che gli M&M’s regular mi fanno schifo, così abbiamo iniziato a parlare di caramelle… la nostra prima conversazione è stata così. Da quel momento in poi abbiamo avuto lunghe conversazioni su molte cose, dalle storie di Kurt all’ossessione di Lana Del Rey per Joni Mitchell, da Frances Bean a Lil Peep, dall’eroina alla riabilitazione, all’autodistruzione e alla salvezza. Abbiamo anche creato una playlist insieme – è sull’account Spotify di OCL – @Oxyleaks. Nel corso del tempo molti musicisti, celebrità e pop star si sono messi in contatto dicendo che si sentivano davvero coinvolti nel progetto e che erano disposti ad aiutare, questo si è concretizzato in contributi e collaborazioni che saranno rivelati a tempo debito.

CM: Quali sono i prossimi progetti a cui stai lavorando con OCL?
DC: A ottobre 2020 OCL Issue 1 verrà lanciato a Parigi. La presentazione assumerà la forma di una mostra, con una scenografia del team editoriale di OCL – Dustin Cauchi, Dasha Zaharova, Pierre-Alexandre Mateos e Charles Teyssou – e una serie di lavori di Bjarne Melgaard in collaborazione con me. Tutto il materiale editoriale, i poster e il materiale correlato saranno esposti in vari formati seguiti da una festa che deve provvedere al consumo di droga offrendo uno spazio sicuro per chi è in riabilitazione… Quindi, vedremo come va! Questo sarò il primo fra gli eventi di lancio che ci saranno anche a Barcellona e Mosca all’inizio del 2021; poi un tour negli Stati Uniti in estate… sarà una corsa sfrenata. Nel frattempo, stiamo lavorando a uno “Speciale” che verrà rilasciato intorno ad Halloween e inizieremo a lavorare sul numero 2 la cui uscita è prevista a primavera 2021.

CM: Secondo te la crisi degli oppioidi influisce in qualche modo sull’estetica e sulla cultura europea o credi che sia un problema tipicamente americano? La trap italiana, ad esempio, è già stata contaminata dai continui riferimenti agli oppioidi e all’eroina.
DC: Penso che, a parte le specificità, stiamo guardando a una situazione – il collasso dell’ordine mondiale neoliberista – in cui sta diventando sempre più difficile vivere in modo non intossicato. Nell’UE le manifestazioni sono diverse, a causa della politica, della cultura, della storia ecc. ma il sentimento che circola tra le persone è molto simile, indipendentemente dalla geografia. Questo è anche il motivo per cui nel numero 1 di OCL ci sono sezioni ad esempio su Afghanistan, Russia, Francia, ecc. Lo stesso si può dire di molti contesti non legati alla droga, che però mostrano lo stesso livello di disintegrazione culturale o soggettiva.

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