Nel 2019 nasce Cormio, una linea che sembra esserci da sempre, con un immaginario familiare ma allo stesso disfunctional, un po’ come le relazioni più ravvicinate e non del terzo tipo. Anche il loro account Instagram, sembra essere gestito da un parente o una cugina confusa che ama la moda ma anche fotografarsi in situazioni scomode e poco glamorous. Gea Politi intervista Jezabelle Cormio, founder e designer del brand, la mente dietro un mondo che sembra già appartenerci anche se appena cominciato.
Gea Politi: Quando sono incappata nella tua prima sfilata, Fall/Winter 2020, oltre alla location davvero insospettabile, una sagra di paese a Seveso, ciò che poi mi ha colpito di più è che, essendo la sfilata filmata da diverse angolature e punti di vista sembrava interminabile. Come se la ripetizione e la stanchezza fisica delle modelle fosse parte del lavoro…
Jezabelle Cormio: Il loop nel video è un aspetto che mi interessa molto. L’esperienza che si ripete, quasi come un incubo. Il modo in cui l’abbiamo girato è stato molto estenuante. Per ogni look ci sono state diverse riprese, ad ogni angolazione le ragazze dovevano sfilare nuovamente. La realtà è che le modelle continuavano a ripercorrere lo stesso giro all’infinito, per ogni ripresa bisognava ripetere il percorso almeno quattro volte. Il video è stato girato in una giornata e, come puoi immaginare, in un luogo come una sagra ci sono momenti con più traffico ed altri in cui la gente comincia ad andarsene o che è già ubriaca. Verso le undici di sera i bambini se ne sono andati e sono rimasti gruppi di uomini che iniziavano anche a diventare molesti…
GP:… E li comincia anche la parte del deterioramento psico–fisico, da entrambe le parti: le modelle e gli spettatori…
JC: Sì, c’è anche l’aspetto della degenerazione che forse nel video si intravede ma è decisamente più velata rispetto alla realtà! Non volendo nemmeno restituire un’idea di tempo definito nel video non si ha una sensazione di inizio o di fine sfilata. In un momento si vedono molti spettatori, in un altro l’area è deserta per poi ripopolarsi. Questa presenza libera nelle sfilate manca molto… sembra quasi incoerente.
GP: Forse anche la collezione è incoerente ed inquietante per certi aspetti?! Quando poi, visti l’uno a fianco all’altro, i pezzi sono chiaramente legati tra loro…
JC: Si, soprattutto la selezione che abbiamo fatto nel video sembra incoerente per dare una forte idea di diversità.
GP: Come hai deciso di fondare Cormio?
JC: Ho lavorato su molti progetti come designer indipendente ma per molti motivi rimanevano capsule, stagionali o staccati tra loro. Con un socio, abbiamo deciso di ‘rilegare’ il mio lavoro e quindi di lavorare su una linea vera e propria. La prima stagione è quella del video che hai visto, dove probabilmente l’approccio è più ‘caotico’ anche perché ho ripreso diversi progetti e li ho mescolati insieme. Ad esempio non avevo mai lavorato con la maglieria prima di allora e adesso ricopre il 70% della produzione. Ho ripreso contatti con fornitori di pelle, ho sviluppato diverse forme di stampe, ogni disegno è creato da me. Ho avuto la fortuna di conoscere questo signore che ha un laboratorio a Como. Il primo fornitore che mi ‘complica le cose’, che mi spinge oltre. Anziché un colore, lavoriamo su tre contemporaneamente e dopo vari test abbiamo individuato ciò che poi sono stati i mini abiti della sfilata, che tra l’altro hanno un effetto translucido – quasi effetto pelle ma in realtà le stampe sono su lana. Quindi la finitura è laminata e crea un effetto latex! Questa lavorazione è una possibilità di dare un significato unico ad ogni capo perché ogni pezzo è diverso dall’altro e non si ha alcun controllo sul risultato. Ci sono delle regole che seguo ma non è semplice mantenerle!
GP: Quando parli delle tue creazioni sembra quasi tu abbia un rapporto personale con ognuna di esse. Vi è, da parte tua una forma di estrema protezione…
JC: Per me l’aspetto più importante è il valore affettivo che si crea tra la persona ed un pezzo, quindi il suo utilizzo non è più solo un bisogno del momento ma creare una vera e propria memoria. Vorrei che le persone che indossano i miei capi si ricordino quel giorno in cui lo hanno indossato e perché. Il pezzo preferito per me è una prerogativa e detesto la sovrapproduzione. Ogni stagione dovrebbe avere un senso molto forte di esistere. Un capo dovrebbe avere un certo valore affettivo o una idea precisa dietro la sua creazione e, nel contempo, assecondare la persona nell’immaginare chi vuole interpretare quando esce di casa. Giocare sulle diverse fantasie di se stessi senza travestirsi ma spostando solo un po’ la direzione del proprio percepito è interessante. In un ‘viaggio’ del genere si può così fantasticare e sentirsi per un momento la tipa di Fight Club! Queste piccole ossessioni sono importanti.
GP: L’instagram di Cormio rappresenta tutte donne, di varie età, ma sempre estremamente affascinanti. Hai mai pensato di fare una sfilata con ‘modelle’ prese dalla strada, scegliendole senza un criterio specifico fisico né secondo il sesso?
JC: È difficile, si tratta di una scelta che, secondo me dal momento in cui si intraprende, bisogna poi portarla avanti con un certo messaggio.
GP: Cos’è la femminilità secondo Cormio?
JC: Sapersi divertire liberamente. Vedo che anche i ragazzi amano indossare molto i capi Cormio, non saprei dire se ciò sia femminilità, ma potrebbe esserne una lettura.
Quando ero all’università ho lavorato su una collezione per plus-size models, seguita da un’altra solo uomo e mi ero completamente impantanata perché era il 2013, prima di un Gucci di Alessandro Michele, dove c’era Hedi Slimane per Saint Laurent che era uno dei pochi stilisti a proporre una linea più ‘romantica’ anche per l’uomo. Io volevo lavorare sul decoro e fare una collezione con colore e diverse intersezioni decorative, perché anche l’uomo ha bisogno della decorazione come espressione di ribellione. Al tempo il bianco e nero era diventato asfissiante come se quel tipo di minimalismo elevasse le persone sopra l’edonismo e sopra le emozioni. Da lì ho capito che il decoro e il sapersi divertire con l’estro era importante per me. Ho pensato che la donna, la femminilità deve potere e volere tutto nella moda per liberarsi dalle definizioni.
GP: Hai delle influenze per ogni collezione o c’è un filo conduttore continuo nella tua ricerca?
JC: Il mondo tirolese-austriaco è sicuramente una forte influenza in questo momento. Mi sono accorta che si tratta di un immaginario di cui l’appropriazione culturale non è un problema; in passato ho usato anche riferimenti come il Voodoo o fantasie haitiane, realizzando poi che questi hanno un peso narrativo importante anche se ne conservo pura ammirazione.
GP: Diciamo che lo stile tirolese è talmente stato rinterpretato ed ha ormai migliaia di stratificazioni che sarebbe difficile accusarti di ‘riappropriazione’.
JC: A me non interessa, infatti, rubare da qualcun altro. Anche perché se si cerca un maglioncino tirolese in Italia, si trova sempre la stessa cosa. Non ho mai frequentato Cortina o ski resort in Italia e, malgrado ciò, mi sono accorta che molti ragazzi da Roma a Milano a Bassano alla Puglia hanno almeno un elemento tirolese in casa che indossano almeno una volta nella vita.
La presenza di questo stile molto folcloristico è vista come una cosa che eleva il tuo status. Prima di tutto significa che tu hai il privilegio di andare in vacanza in quei posti e in secondo luogo sei in grado di apprezzare un gusto molto specifico. Esteticamente non è così affascinante ma il suo immaginario sì. Vedere una presina tirolese ti fa pensare a uno chalet di montagna, è tutta la storia che si cela dietro questo stile che è coinvolgente. Un fazzoletto per la cucina non è interessante, è la parte di signaling che aggiunge qualcosa di ‘altro’ della persona che funziona… questo stile ‘tirolese’ a Milano è un segnale della borghesia circostante.
GP: Siete ancora molto poco presenti sul web come vendite, è una scelta?
JC: Non amo sprecare i tessuti e nemmeno il lavoro degli altri, non ho prodotto molto nella prima collezione anche per questo motivo, per esempio i pezzi in pelle li produciamo su richiesta perché lavoriamo con filiere in Italia, inoltre la pelle è anche un tessuto difficile da trattare. Ora che abbiamo un’idea più concreta della richiesta dal pubblico, saliremo con i numeri di pezzi e già da questa serie saremo più presenti online.
GP: Persone guida che ti hanno ispirato creativamente?
JC: Mi guida molto il senso di complicità tra me e i miei fornitori. Io sono un piccolo brand, per questo ancora completamente vulnerabile, per cui devo stare molto attenta a chi scelgo. Sono tutte donne, c’è una grande collaborazione, una complicità fortissima, loro fanno parte del progetto Cormio.