In “DS”, Davide Stucchi approfondisce la sua lunga indagine sulla smaterializzazione scultorea, l’affetto e il corpo, questa volta attraverso la moda. Mentre la moda è solitamente legata alla presenza di corpi, qui l’artista presenta una mise-en-scène di assenza materiali – evocandola solo attraverso la luce, il suono e la coreografia di oggetti.
Cinque nuovi mobiles di luce ricavati da generiche grucce per abiti sono montati sul soffitto dello spazio principale della galleria in una configurazione che rispecchia esattamente le fonti di luce dell’appartamento milanese dell’artista. Sovrapponendo uno spazio sull’altro, i mobiles funzionano come punti di fissaggio in un’invisibile planimetria psichica; ciascuno regge la sua lampadina, emettendo vari bagliori durante il lento moto rotatorio, proiettando ombre come corpi assenti in movimento. In una galleria altrimenti vuota, questi sottili assemblaggi domestici si caricano di simbolismo e assumono vita propria. Lunghi cavi elettrici sconfinano lungo il muro e su per le scale, come una rete di energia per una coreografia di umani smarriti. L’allestimento della mostra è stato supervisionato da un amico dell’artista, per via delle restrizioni a causa del Covid che hanno impedito a Stucchi di viaggiare dall’Italia a Monaco. Questo ha aggiunto una variabile ulteriore alla scena: i corpi e gli spazi assenti si perseguitano come fantasmi.
Una colonna sonora, recentemente commissionata all’artista, compositore e DJ Lukas Heerich, aiuta ad evocare ancora di più l’idea di una presenza, suonando a intermittenza negli spazi della galleria.
Grazie agli anni di esperienza come direttore del suono per l’industria dell’alta moda, Heerich utilizza estratti e mash-up dalle colonne sonore delle sfilate, modificandoli affinché diano l’impressione di suonare in un’altra stanza, lontano, dislocando la fonte sonora dall’azione e posizionando lo spettatore in un luogo intermedio. Il lavoro di Heerich sottolinea come il suono stesso lavori per produrre moda attraverso complesse strategie di editing e la propria vicinanza alle tendenze musicali del momento: un processo aziendale di collage e moodboarding indiscriminato, molto simile allo sviluppo del fashion design contemporaneo in sé.
La collaborazione tra i due artisti è nata dall’ossessione di Stucchi, durata più di un anno, per la raccolta di colonne sonore delle sfilate prese da internet, pensando ad esse come significanti di assenze: la moda priva di abiti, immagini, o corpi. “Ascolto musica prodotta specificamente per l’industria della moda, per i vestiti, e quindi per il corpo”, ha detto l’artista in un recente testo pubblicato sulla rivista di critica della moda Viscose. “Ascoltando le colonne sonore delle sfilate, le tracce dei corpi assenti si manifestano e si sentono muoversi. Gli otturatori delle telecamere, le voci del pubblico e infine gli applausi, che cercano, come noi, di raggiungere quei corpi che non si vedono”. La colonna sonora della passerella come “elemento portante” della moda riecheggia l’umile funzione dell’appendiabiti, che sostiene le nostre pelli sartoriali mentre vengono acquistate, trasferite o conservate. Come le sfilate, le grucce mediano tra la produzione e il consumo di moda. Questo oggetto domestico, fra i più banali, non è quasi cambiato dalla sua invenzione come dispositivo “salvaspazio” all’alba della rivoluzione industriale, eppure rimane onnipresente nell’industria della moda così come nelle nostre case. Nelle mani di Stucchi, la gruccia è sublimata come scultura in numerose direzioni: antropomorfa, gestuale, totemica. Evocando giocosamente i principi formali dell’Arte povera, l’artista tira fuori le sue qualità più effimere, spesso sottovalutate dalla storia dell’arte. L’arte di Stucchi è un esercizio di evocazione di intimità passate, sentimenti, movimenti – una dimensione psichica concretizzata nello spazio.