Per la sua prima personale in Italia, l’artista Wangari Mathenge stimola visioni poliedriche dell’intimo quotidiano, suggerendo possibilità di dialogo variegate tra spazi, soggetti e rappresentazioni. Il titolo della mostra, “Perspectives”, evoca non solo il trattamento personale delle questioni geometriche della pittura — sia in senso figurato che nella concretezza del taglio delle sue “inquadrature” — ma si declina principalmente nell’appello alla moltiplicazione dei punti di vista. L’osservazione e la decodifica di una situazione privata, considerando le questioni di giudizio, le possibilità di errore, l’importanza della valutazione nel confronto tra generi, culture, oggetti, fatti e dati, divengono la questione focale dei suoi dipinti. Un gioco serrato di impulsi e apparizioni, di associazioni ed evidenze personali che alludono alla possibilità della lontananza, ovvero quella capacità di distacco che permette di vedere le cose vicinissime in un altro modo.
Prospettive di intimismo, di sguardi sottesi ma suggeriti dalla potenza di paesaggi domestici, fatti di tessuti e steli, bottiglie e animali, di tazze da tè, libri e pochissimi sguardi. Di autoritratti decapitati, perché se un elemento non è rappresentato nel quadro, non è detto che non sia parte di ciò che si vede; di densità di senso data dalla ricchezza della pittura, dalla freschezza e dalla pienezza cromatica espressa con ciascuna pennellata.
L’intimità è la sensazione che guida lo spettatore nello spazio della galleria, costituita da pareti che si intersecano e creano delle sale connesse, non solo con le altre, ma soprattutto con il giardino esterno che penetra l’ambiente chiuso. Questa configurazione permette a Wangari Mathenge di innescare un primo dialogo tra lo spazio privato della pittura e quello fisico dell’ambiente pubblico. L’artista propone quindi allo spettatore l’attivazione tacita di un gioco di sguardi confidenziale, dove il suggerimento di un punto di osservazione nel quadro è volto allo sviluppo di una comprensione “aperta” che presuppone la necessità di un’interlocuzione, sottolineata anche dalla circolarità dell’allestimento.
In ciascuna sala sono collocate due o tre opere speculari, più la presenza di un ulteriore dipinto, una sorta di sguardo dell’alterità che mette tutto il resto in prospettiva. Questo confronto si attiva già dal primo ambiente espositivo, quando con After our Bruises Heal I, II e III (2022), l’artista presenta la conversazione gestuale tra due persone legate da una profonda familiarità – resa visibile inquadrando la raffigurazione frammentaria di un momento di condivisione. La scena non potrebbe essere osservata da nessun’altro se non dai suoi protagonisti, eppure la prospettiva si apre a un occhio che sembra fluttuare al di sopra di essa. Anche i due lavori che compongono The Day is Long and Repeats Itself I e II (2022), propongono una visione dall’alto e il rapporto fra le opere affini suggerisce il passaggio del movimento più che del tempo, come se i dipinti – tra i quali anche They Say It Was a Dandy But What Do I Know Of a Jogging Dandy I e II (2022) – mostrassero la successione di frame cinematografici che arricchiscono la narrazione con nuovi dettagli, che si confondono nelle stampe degli abiti variopinti. L’assenza dei volti viene sovente riempita dalla trama vibrante di un indumento – come con la tridimensionale fluorescenza dei leggings – o con i decori di una tazza fiorata o di una ringhiera, la cui vibrante ricchezza cromatica si impone quale vera protagonista.
In ciascuna delle sale che presentano una serie, c’è sempre un lavoro che se ne distacca e che provoca così uno scarto: l’imposizione della presenza di un soggetto – in Day Like This; Simply The Way e My Good Arms (2022) – non compreso nella dimensione casalinga dei momenti delineati aggiunge un tassello di introspezione ulteriore suggerendo la presenza di un osservatore esterno. Quegli sguardi disgiunti dalle scene principali non si confondono tra quelli invisibili dei protagonisti e quelli degli spettatori, ma sembrano indicare che tutto ciò che si cerca si può cogliere nella reiterazione dello stesso momento di vita, effimero e irripetibile quanto l’applicazione della visione di chi percorre quella scena.
In questo dialogo serrato, lo spettatore partecipa con la sua dimensione personale aprendosi alla prospettiva dell’altro quando si scontra con quella mostrata dall’artista, non solo in termini concettuali ma anche grazie al valore consolante di un’estetica fluida, accogliente e appagante che impreziosisce di vivace positività quei frammenti di reale.