PRO SOLE PRO PULVERE PRO VIGILIIS PRO LABORIBUS – letteralmente, “PER IL SOLE PER LA POLVERE PER LE VEGLIE PER LE FATICHE”. Recita così un frammento dell’iscrizione di Pietro Bembo che corre lungo le quattro pareti del cortile roveresco di Villa Imperiale a Pesaro, segnalando ai visitatori le ragioni per cui è stata edificata: offrire ai suoi inquilini un riparo dalle minacce, dalle fatiche e dalle realtà del mondo esterno; liberarli, insomma, dallo spazio e dal tempo. La notte di San Lorenzo il cortile è stato il primo ambiente ad accogliere i visitatori dell’ultima edizione di “Against Sun and Dust”. La rassegna, curata da Cornelia Mattiacci e Alessandra Calsterbarco Albani, ha disseminato negli spazi rinascimentali della villa un intervento e un cortometraggio di Stuart Middleton, una performance di Ivan Cheng e un DJ set di PLO Man. A connettere l’insieme degli interventi, oltre al rapporto specifico con gli spazi della villa, è stato il titolo/tema “Anti Historia”, un invito a esplorare il conflitto tra le memorie individuali e le ricostruzioni storiche collettive, rifiutando le pratiche storiografiche consolidate a favore delle percezioni personali: una presa di distanza e allo stesso tempo un avvicinamento alla massa storica che grava sulle mura e sulle stanze della villa.
L’iscrizione del cortile è aperta da una menzione di Eleonora Gonzaga, committente a Girolamo Genga dell’espansione di Villa Imperiale, intesa come un dono per il suo sposo Francesco Maria della Rovere. La vicenda coniugale dei due, con i suoi determinanti riverberi politici ed economici, è servita da innesco per l’installazione Untitled (2023) di Stuart Middleton, curata da Attilia Fattori Franchini. L’artista inglese ha allestito ordinatamente sui pavimenti delle Stanze della Duchessa scampoli di abiti nuziali: pizzi, veli, ricami e frammenti di tessuto privati di una struttura, fissati a terra dagli stessi sassi che gravano sulle tegole della villa, come a restituire in negativo le ombre di corpi assenti. Un materiale solitamente di scarto, conservato per la sua preziosità, diventa emblema metonimico di una vicenda storica a un tempo pubblica e privata, restituendo evidenza alla dinamica di genere incarnata dall’organizzazione stessa dell’architettura. In un’ideale topografia nuziale, gli scampoli conducono infatti verso le Stanze del Duca, solitamente chiuse al pubblico, dove è proiettato il cortometraggio Untitled (2023): girato all’interno del modellino-giocattolo di una casa realizzato dall’artista quando era bambino, il video riattiva un’idea infantile di spazio ideale.
Il cortile è dominato dalla terrazza roveresca: una vertigine scenotecnica sospesa tra un baratro naturale aperto sui colli pesaresi e un baratro artificiale che la separa, ma allo stesso tempo connette, dalla foresta e dal giardino all’italiana. Qui, e in una serie di spazi limitrofi sempre raggiungibili con lo sguardo, si svolge la performance di Ivan Cheng, Oil Rig Elision (tempesta d’amore) (2023), prodotta da INCURVA e curata da Niccolò Gravina. L’azione coinvolge anche un’altra performer, Patrizia Inzaghi, e la crew di No Text Azienda, impegnata a filmare la performance in una complessa e coreografica tenzone visiva. L’intreccio degli occhi e degli obiettivi – quelli dei performer, delle videocamere, del pubblico, degli iPhone, dei tecnici delle luci – costruisce una densa rete ottica che ingabbia la struttura architettonica della villa, trasformata idealmente in una piattaforma petrolifera. Come emerge dallo script distribuito agli spettatori, le apparenti incertezze, le divagazioni, le indicazioni tecniche e i movimenti di luce, sono tutti intenzionali: rendono evidente il meccanismo dell’azione. Il testo – rigoroso equilibrismo tra soap opera di Rete 4, arie rossiniane e parafrasi di John Ashbery e Taylor Swift – diventa così strumentale a un esercizio di disarticolazione spaziale e temporale: se da un lato, attraverso precisi riferimenti pop, riconnette l’osservatore a un momento culturale storicamente determinato, dall’altro sposta l’azione in spazi e tempi non più accessibili, scollegando la performance dall’urgenza del presente. Unito all’evidenza del processo di documentazione e alla presenza di brevi momenti di interattività, tale aspetto contribuisce a ridefinire il significato e il valore stesso della spettatorialità. A differenza dell’obiettivo montato sul rig, l’occhio dell’osservatore non può infatti ambire al fuoco totale, alla comprensione di tutti i livelli. Come confessa l’artista, «I am not supposed to contain nor suggest multitudes. Historical backdrops and foregrounds, tell me I’m pure».
Nel 1538, la morte di Francesco Maria interruppe bruscamente le vicende di Villa Imperiale: l’enorme scenografia rimase incompiuta e priva di spettacoli da ospitare. Scesa la notte, in una sorta di restituzione indiretta, PLO Man riattiva la facciata roveresca con un DJ set techno curato da Ruggero Pietromarchi. Avvolti nel fumo, profilati dalle luci, sotto alla luna e agli sciami di meteore, gli spettatori danzano sul prato, collocandosi e ricollocando nel presente lo spazio che li ospita e la musica che li avvolge. Sulla facciata, sopra la console, corre ancora un’altra scritta: AEDES MEMORIA INSIGNES AEVO LABENTES… parla di memoria, di restauri, di edifici illustri e di tempo che passa. La luce rossa dei fari ne illumina soltanto un frammento: quello successivo, contenente la data, resta al buio. E con esso, anche la Storia.