Un luogo o un tempo distante dal nostro rischia di essere interpretato attraverso i suoi artefatti e i suoi monumenti con gli schemi mentali a noi più prossimi, vizi ermeneutici dai quali sembra impossibile prescindere. Il presente sostiene il passato, così come il passato non manca di servire il presente in un circolo raramente virtuoso che, tuttavia, richiede una presa di responsabilità da parte di chi contribuisce a creare piste interpretative per la comprensione dei materiali estratti, proponendo classificazioni e narrazioni inesorabilmente arbitrarie.
Milica Tomić, è una figura di riferimento per quella generazione di artisti concettuali nata negli anni Sessanta nella regione della ex-Jugoslavia, che dall’inizio degli anni Duemila si è occupata della politica della “memorializzazione” all’interno del Grupa Spomenik (Monument Group), co-fondato da Tomić insieme ad altri studiosi e artisti. Né collettivo né gruppo autonomo, ma piattaforma di ricerca aperta a ulteriori collaborazioni, Grupa Spomenik ha investigato le possibilità di rappresentare i genocidi e le atrocità avvenuti durante le guerre balcaniche, e le loro conseguenze.
Nella mostra personale “Geography of Looking” presso ar/ge kunst Bolzano, realizzata in collaborazione con l’archeologa Ana Bezić e curata da Zasha Colah e Francesca Verga, Tomić rielabora la sensibilità per ciò che non sempre appare immediatamente distinguibile a una prima osservazione, generando un elogio pervasivo alle dimensioni dello sfuocato, dell’impuro. Organizzata in due ambienti distinti, la mostra apporta un complesso intervento site-specific nello spazio della galleria. Nella area soggiacente alla vetrina dell’ar/ge kunst, l’artista ha allestito una flottatrice, uno strumento utilizzato in archeologia che, tramite l’azione meccanica dell’acqua, setaccia la porzione di terreno scavato separando resti organici di varia dimensione. È stato possibile osservare la macchina in azione durante l’inaugurazione della mostra che, per casualità, è coincisa con il giorno di ripresa dei combattimenti nella striscia di Gaza lo scorso primo dicembre. Alcuni quotidiani disposti in numerose pile segnalano eventi drammatici di questo genere; non per ultimi, i riferimenti allo scontro fra Ucraina e Russia, la crisi climatica globale, e ad altre guerre che spesso appaiono oscurate dall’ingente quantità di notizie.
“Geography of Looking” interrompe la finzione del white cube per riconnettersi al momento storico presente, che l’artista suggerisce essere caratterizzato da uno stato di “guerra perenne”, informato dall’incapacità di assegnare a ciascuna crisi un nome proprio. Anzitutto, la riflessione di Tomić si connette al territorio nell’immediato circostante: Bolzano. Alcuni sacchi di terreno circondano la flottatrice: è da lì che l’archeologa Bezić preleva dei campioni di terreno per setacciarlo. Alcuni di questi risalgono al neolitico, altri sono stati prelevati dall’artista stessa e dai suoi collaboratori nei pressi del Museo della Scuola Tagusa di Castelrotto, un antico borgo nel Südtirol. In questa scuola, ormai dismessa e resa museo, l’artista ha iniziato le ricerche per la propria mostra guidata da un errore d’interpretazione su alcune lettere che riteneva essere state inviate dagli studenti al fronte repubblicano durante la guerra civile spagnola, ma che in realtà erano state indirizzate al fronte fascista. Nella seconda sezione della mostra, delle mensole improvvisate su pile di giornali sorreggono una bibliografia eterodossa di materiali: libri, opuscoli e capsule da laboratorio usate per le analisi microbiologiche. Al fondo della stanza, un dipinto astratto traduce in forma visiva un’analisi temporale delle sfere di potere che si sono susseguite sulla provincia di Bolzano.
“Geography of Looking” propone una riflessione essenziale sulle varie interpretazioni possibili “at the trowel’s edge”, per usare un’espressione dell’archeologo Ian Hodder, studioso britannico, fondatore della archeologia post-processuale o interpretativa. Nel momento in cui un’archeologa affonda la cazzuola in una porzione di suolo compie una prima azione di selezione e valutazione delle informazioni a disposizione che, inevitabilmente, influenzerà le analisi successive del materiale prelevato. Usando lo spazio dell’arte visiva per alimentare una riflessione di natura teoretica le cui implicazioni vanno ben oltre il campo dell’archeologia, Tomić guarda al suolo come un’opportunità per disidentificarsi da quelle categorie semantiche che ci appaiono troppo strette per essere abitate liberamente.
La finestra ritagliata dall’artista in una delle vasche della macchina flottatrice mostra un insieme di frammenti di terreno indistinti, in sospensione tra il visibile e il quasi impercettibile. È nella tensione tra “to looking”, nel senso di “guardare”, e “to look for”, nel sentito di “cercare”, il punto in cui, come spettatori, siamo invitati a stare.