Mimosa Echard “Surf” Martina Simeti / Milano

23 Aprile 2024

Per “Surf”, seconda personale di Mimosa Echard da Martina Simeti, l’artista francese presenta un corpo di nuove opere che ha come filo conduttore la penetrazione elettromagnetica, la protezione e ulteriori tipi di tensione superficiale.

La mostra e suddivisa in tre ambienti. Nella galleria principale, il ritmo accelerato e dettato da una serie di tele a griglia tutte della medesima altezza (180 cm). Ciascuna di esse e rivestita da uno strata di tessuto antiradiazioni, a sua volta ricoperto da fogli di alluminio. Un verde brillante e ossidato fuoriesce dalle superfici metalliche.

Nella stanza inferiore, una bambola vestita da astronauta scruta lo spazio intorno, nascosta da un groviglio di rami. Concepita come “copertura” della scultura Untitled (Bebe Marie) di Joseph Cornell, attualmente esposta al MoMA, la versione di Echard ospita l’opera all’interno di un forno a microonde, collocato in una scatola a specchio.

Al piano superiore, la fotografia riemerge: denaro, un telefono giocattolo, una cartolina di Dan Graham e vari altri oggetti parziali sono sovrapposti a un autoritratto dell’artista allo specchio, il cui corpo scompare nella composizione. Quest’opera e accompagnata dalla zine Bebe Marie (2023), realizzata durante una residenza a New York, in cui l’artista combina immagini di antenne 5G, interni di Manhattan anni ’80 e bambole in vari stati evolutivi.

L’artista spiega: “Volevo esplorare l’idea di interferenza e penetrazione (nel caso delle onde, che sono permanenti) e mettere in relazione questa penetrazione travolgente con il minimalismo”.

Gli elementi geometrici e modulari, che ricordano i pannelli elettrici e solari, le porte, le finestre o persino i cancelli, sono intrinsecamente contraddittori e promettono anche di proteggere, bloccare ed escludere. Realizzate con materiali intrinsecamente legati a stati di paranoia permanente (commercializzati per creare “bolle protettive prive di radiazioni” in casa), queste opere rivedono il desiderio minimalista di mostrare “le cose come sono”, rendendo piuttosto “visibile” la nostra vulnerabilita (sia psichica che fisica) di fronte a forze invisibili.

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