La Thomas Dane Gallery di Napoli è onorata di presentare Father and Son, di Akram Zaatari; la terza di Zaatari con la galleria, e la prima grande mostra personale dell’artista in Italia.
Akram Zaatari (nato nel 1966 a Saida) ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’infrastruttura formale, intellettuale e istituzionale della scena artistica contemporanea di Beirut. Ha prodotto più di cinquanta film e video, una dozzina di libri e innumerevoli installazioni di materiale fotografico, tutti accomunati dall’interesse per la scrittura di storie e dalla ricerca di documenti e oggetti, tenendo traccia del loro passaggio di mano, del recupero di narrazioni e collegamenti mancanti che sono stati nascosti, smarriti, persi, ritrovati, sepolti o scavati. L’azione stessa dello scavare è diventata emblematica della sua pratica, mentre agisce per ripristinare le connessioni perse nel tempo o a causa di guerre e dislocamenti. Zaatari ha dedicato una cospicua parte del suo lavoro alla ricerca e allo studio delle pratiche fotografiche nel mondo arabo e ha contribuito senza compromessi al più ampio discorso sulla conservazione e sulla pratica archivistica.
Radicata in questa pratica di ricerca, la mostra di Zaatari a Napoli ripercorre il concetto della ‘restituzione’ nel lavoro dell’artista, espresso principalmente attraverso testi, documenti e fotografie che rivisitano descrizioni e ricreano oggetti o legami un tempo esistenti e ora andati perduti. La mostra presenta opere degli ultimi vent’anni realizzate con diversi media, a partire dal video di due ore Ain el Mir (2002), in cui l’artista cerca una lettera sepolta che non ha mai raggiunto la sua destinazione. Si passa poi all’opera più recente di Zaatari, Father and Son (2024), in cui i sarcofagi di due re fenici (padre e figlio), separati dall’antichità, vengono riuniti. Il progetto è accompagnato da una serie di nuove opere su carta che guardano al Mediterraneo come luogo di scambio, sradicamento e movimento attraverso i millenni.
Tra queste opere Archeology (2017), Photographic Currency (2019) e Venus of Beirut (2022) e un nuovo lavoro, Ibrahim and the Cat, For Inji Efflatoun (2024), sono tutti impegnati nel processo di ri-creare oggetti scomparsi o mai prodotti. Il bassorilievo in ottone Ibrahim and the Cat – realizzato con artigiani di Napoli – dà nuova forma a una fotografia dimenticata scattata dal padre dell’artista egiziano Inji Efflatoun per realizzare un dipinto che non vide mai la luce.
L’idea di Zaatari di ‘dar vita a cose che non esistono nel presente’ si applica anche alla ri-creazione di un monolite di pietra utilizzato per sigillare la tomba del re Tabnit, completamente distrutto quando il di lui sarcofago fu tirato fuori nel 1887. All that Refuses to Vanish: The Tabnit Monolith (2022) è stato realizzato a partire dai disegni e dagli appunti lasciati dallo statista e pittore ottomano Osman Hamdi durante i suoi scavi nella necropoli di Sidone.