“Le masse non hanno sete di verità.
Le masse non hanno mai avuto sete di verità.
Chi può fornire loro illusioni diventa facilmente il loro comandante.
Chi tenta di distruggere le loro illusioni è sempre la loro vittima”.
— Gustave Le Bon (1841-1931).
Grazie al conte Alighiero Boetti ho smesso di fumare
Io debbo molto al conte Alighiero Boetti (ma chi sapeva che Alighiero fosse conte? Con me non lo ha mai fatto trapelare. Come Piero Manzoni: ritrosia della casta? Non lo avrei mai immaginato ma lo scoprii a Torino da suoi amici di infanzia. Ma ora a pensarci possono essere considerati un segnale la sua cultura nomade e trasgressiva e la sua naturale eleganza comportamentale. E anche un certo sofisticato ma impercettibile snobismo). Io gli debbo molto non solo per la sua seminale produzione artistica, ormai retaggio universale e per le numerose opere che mi ha ceduto a prezzi da vero amico e per il rapporto amicale che ci ha legati sin dagli inizi del suo luminoso percorso già a Torino, dalla mostra del 1967 da Christian Stein, ma anche per un episodio singolare che in parte ha cambiato la mia vita privata.
Era il 1987 e già avevo tentato più volte di smettere di fumare, senza grandi risultati. Ero riuscito a liberarmi da questa dipendenza anche per nove mesi, poi a Basilea, pensando di essere ormai immune, accettai una sigaretta da un amico. E da quel momento caddi nuovamente nel baratro. Non ero il fumatore accanito da quattro pacchetti, ma avvertivo che le 15 sigarette quotidiane e imprescindibili, erano per me esiziali e infatti ancora ne soffro gli esiti nefasti.
Eravamo nel marzo 1987, nello studio di Alighiero Boetti a Roma, parlando con lui, mentre accendevo la mia, gli offrii una sigaretta. E lui: “Ho appena smesso di fumare,” mi rispose, “perché non provi anche tu? Va’ dall’avvocato Vincenzo Campanelli, all’Eur, è riuscito a far smettere Bettino Craxi (temporaneamente, purtroppo, aggiungo io: e lo stesso credo sia avvenuto per Alighiero, che dopo una pausa, riprese a fumare come prima), il re di Giordania, il premier israeliano Shimon Peres. E migliaia di altre persone, note e sconosciute.”
Alighiero mi diede il numero di telefono dell’avvocato Vincenzo Campanelli, il quale mi ricevette il giorno stesso. Mi precipitai nel suo studio, accompagnato dall’amico Pio Monti, sempre generoso, disponibile e curioso di ogni aspetto del mondo (ah, Pio, quanto ci manchi, quanto ci manca il tuo perenne ottimismo, il tuo cinismo del cuore e la tua voracità per il nuovo! Chissà come ti saresti mosso oggi in questo mondo dell’arte così liquido e imprevedibile. Certamente avresti trovato le contromisure).
L’avvocato Campanelli, già professionista di successo con studio in via Condotti a Roma, in un viaggio in Svizzera con un amico, scoprì (non ricordo come) di avere facoltà extrasensoriali e così divenne un famoso pranoterapeuta. La sua specializzazione? Togliere la dipendenza dal fumo delle sigarette. Debbo dire che scelse con molto acume la nuova specializzazione. I clienti non mancavano. Infatti nel suo studio all’Eur, in sala di attesa eravamo almeno dieci persone, tutte con appuntamento. E noi in attesa ci guardavamo con curiosità e qualche sospetto, raccontandoci anche la nostra dipendenza e le sue disavventure. Preoccupato di dover attendere a lungo, fui rassicurato nel vedere uscire dallo studio i clienti (pazienti?) solo dopo quattro/cinque minuti da quando erano entrati. E tutti sorridenti ma forse un po’ sospettosi sui risultati dopo un incontro così fuggevole. Infatti dopo pochi minuti fu il mio turno: Campanelli mi chiese di consegnargli il pacchetto di sigarette che avevo in tasca e che lui gettò nel cestino dei rifiuti, mi impose le mani sulla testa affermando: “Lei non fuma più!”. Mentre Pio Monti si sbellicava dalle risate, con me preoccupato che il suo comportamento avrebbe vanificato il rituale. “Finito?” chiesi io allarmato. “Sì, certo”, mi rispose. “Mi deve 300 mila” (nel 1987 era una cifra ragguardevole per un incontro di due minuti, ma nulla avrebbe potuto ripagare la liberazione dalla schiavitù dal fumo): “mi dia il suo nome”. “Giancarlo Politi”, risposi. “Ma lei è parente del direttore di Flash Art?”, “Sì, ahimè”, risposi io. “Allora mi dia solo 250 mila lire, sa, io sono anche pittore dunque quasi colleghi”. E mi invitò dietro una tenda dove c’era il suo studio. Le sue opere risentivano dell’attitudine del dilettante e dell’autodidatta, ma esprimevano una curiosa personalità. Il mio giudizio lo rese felice e ci salutammo con un abbraccio.
Poco dopo, sempre al seguito di Pio Monti, ci fermammo in un bar per telefonare a mia moglie Helena Kontova che a Milano aspettava ansiosa. Nel 1987 non esistevano ancora i cellulari. Io stesso stento a crederci, ma entrando nel bar per telefonare, fui disgustato dall’odore del fumo delle sigarette che si sprigionava all’interno. E ridendo lo raccontai anche a mia moglie. Ma da quel giorno avverto il disgusto della sigaretta da venti metri di distanza. E naturalmente da quel 27 marzo 1987 (data epocale per me), grazie ad Alighiero Boetti e all’avvocato Campanelli, non ho più toccato una sigaretta. E me ne sono sempre tenuto a debita distanza. Immagino che molti lettori non crederanno a questo mio racconto, ma non importa: io so con certezza che mai incontro con un artista e successivamente con un pranoterapeuta fu per me più utile e fecondo. Grazie ancora Alighiero. Oltre a tutto il resto ti debbo anche questo magnifico regalo che, con il tuo ricordo, mi seguirà ancora tutta la vita.
PS. Agli increduli fumatori che vorrebbero smettere di fumare consiglio di telefonare all’avvocato Campanelli, Roma, per un appuntamento. Mi pare sia ancora operativo. E buona fortuna, come ne ho avuta io.