Quando la mente viaggia oltre il proprio corpo, si può provare un sentire oceanico. I confini corporei diventano scivolosi e traboccano in altri luoghi e persone, portandoli vicini quasi a toccarli. Nella migliore delle ipotesi, questo sentire racchiude un legame indissolubile tra sé e il mondo ‘esterno’, il potere di essere un tutt’uno con esso e di vederlo nel suo insieme. Questa sensazione può essere vissuta in diversi modi: attraverso un movimento di contrazione, rilascio e distensione, come l’andare delle onde nel mare; lo stesso movimento che avviene nel corpo durante un orgasmo. Pertanto, lo psicoanalista Wilhelm Reich – uno degli intellettuali più controversi e preveggenti del Novecento che dedicò la sua vita a comprendere il legame complesso tra sessualità e libertà – sosteneva che questo movimento orgastico non fosse fine a se stesso. Oltre a rilasciare un’ondata di energia fluida e libidinosa, capace di dissolvere la rigida armatura difensiva causata da traumi e infelicità, l’orgasmo genera connessioni con correnti vitali profonde, portandoci a sentire qualcosa che ci accomuna alle movenze pulsatili di una medusa, al movimento peristaltico di un verme, o alla divisione delle cellule, rievocando un senso di un’unità con altri mondi. Secondo Reich questa energia è a sua volta in grado di liberare non solo il corpo umano ma anche il corpo pubblico, alleviando violenze e conflitti. Per quanto utopiche e spinose le idee di Reich non sono state prive di basi pratiche. Il suo pensiero è stato fondamentale nella lotta per la liberazione sessuale, aiutando a svincolare l’atto sessuale dal fine procreazionale e come strumento di controllo. Sebbene l’orgasmo non sia sufficiente a fermare le oppressioni, secondo Reich giocherebbe un ruolo fondamentale nell’abbattimento della ‘corazza’ che ci portiamo dietro, per una riconciliazione con la nostra natura più antica.
È nella concezione del corpo come oggetto la cui libertà è limitata e, al contempo, strumento stesso di libertà che si colloca il lavoro di Benni Bosetto. Con “Slippery Orchid” Bosetto svela architetture all’apparenza restrittive – grotte, celle, spazi domestici ed espositivi – come luoghi fluidi e ospitanti, in un atto di riconnessione poetica con i nostri corpi e le loro forze vitali. Attraverso sculture, disegni e ambientazioni, l’artista propone una visione sistemica del corpo come conduttore di molteplici realtà e narrative, in continua interazione con il proprio ambiente.
Una serie di disegni presenta corpi che si disfano gli uni negli altri, unendosi al vegetale e al selvatico. Alcune scene sembrano rievocare la liberazione emotiva che Reich chiamava ‘streaming’ (flusso), secondo la quale il tocco in specifici punti del corpo durante sedute mediche guidate poteva liberare emozioni stagnanti e nascoste. Linee oscure e intense, a tratti liquide e diafane, racchiudono un’atmosfera perturbante, a momenti alleggerita dalla presenza di motivi ornamentali ed elementi giocosi, tra cui perline, pupazzi, gattini.
I confini tra diversi mondi sono resi ancor più labili attraverso una serie di sculture e ambientazioni in bilico tra seduzione e naiveté. Graffianti filamenti di bronzo coprono pareti drappeggiate in pizzo cascante, formando strutture che prendono ispirazione da giochi per felini. La figura del gatto, considerato come animale selvatico e di compagnia e come simbolo della donna pericolosa (la strega, la femme fatale, la sex worker) contribuisce a confondere ruoli e abolire distinzioni binarie tra l’umano e l’animale, il domestico e il selvaggio. Attraverso la mescolanza di materiali e simbologie e un attento equilibrio tra opacità e figurazione, innocenza e gioco, Bosetto crea immagini residue di una sessualità che va oltre a quella genitale ed elude classificazioni univoche, sfidando costruzioni del naturale, del genere e del crimine e l’idea che alcuni comportamenti sono ‘contro natura’.
A queste visioni frontali si contrappongono spazi di intimità e di ritiro. Opere in pizzo nascondono leggeri simboli e disegni a matita: piccoli spiragli da cui passano storie a fiumi. All’entrata, sagome di serrature su tende di pizzo evocano situazioni velate, rimandando al segreto e al privato. Un ramo in bronzo dalle linee tortuose a forma di zeta fa riferimento alle onde del respiro durante il sonno. Questo oggetto racchiude la forma di un Vespertilio Bruno, uno degli animali che dorme di più al mondo, segnalando un cambio di atmosfera: un invito alla cura, al riposo e alla ripresa.
Al centro della mostra l’artista presenta una serie di ‘celle’ in legno, ispirate agli Accumulatori Orgonici di Reich. Inizialmente pensati da Reich come dispositivi di guarigione in cui sedersi in maestoso auto confinamento, sono qui re immaginati dall’artista come spazi ospitanti, per i visitatori e per le opere di altri artisti. Questi luoghi interstiziali e cavernosi, che paiono allo stesso tempo protetti e amorevoli (come suggerito dalle sedute a forma di cuore) diventano spazi per lasciare andare le strutture imposte da morali coercitive; luoghi per formare nuove unioni.
Durante il mio ultimo incontro con Benni Bosetto, entrambe portavamo le impronte di due isole che ci avevano ospitate: visioni e abbagli che si manifestavano su di noi fisicamente e nel nostro immaginario, e che ritornano ancora oggi mentre scrivo questo testo. Tra i protagonisti di questo sentire oceanico c’è un fiore che l’artista ha incontrato sull’isola, la cypripedioideae o ‘Slippery Orchid’, da cui deriva il titolo della mostra. Ciò che lo contraddistingue è una sacca che invita l’insetto ad addentrarsi per ricevere il polline necessario alla sua fecondazione. In questo spazio umido e peloso, che pare al contempo una trappola e un organo gentile, si liberano nuove possibilità di vita. Re immaginando diverse architetture organiche, Bosetto rivendica spazi limitati per corpi liquidi, offrendo un viaggio intimo attraverso il corpo liberato come nuda fonte di potere.