Il presente, come ha notato Louis Marin, è il luogo della discontinuità tra il passato e il futuro: il presente non sarà “né questo né quello, ma tutti e due insieme”1. È quindi possibile pensare un dialogo di opere della contemporaneità in rapporto a opere del passato attraverso un display che rispetti le condizioni di produzione storica, ma ne segnali le riattivazioni e la fecondità significante?
“Beyond the Collection”, il format curatoriale proposto dalla Pinacoteca Agnelli nel 2022, ci sembra possa offrire delle delucidazioni in merito. Il progetto, che vede già realizzate tre edizioni, nasce dalla volontà di Sarah Cosulich, Lucrezia Calabrò Visconti e Beatrice Zanelli, rispettivamente direttrice dell’istituzione, capo curatrice e responsabile del dipartimento Collezione ed Educazione. “Beyond the Collection” è presentato dal museo stesso come uno spazio di ‘soglia’ dove, a ogni edizione, una delle venticinque opere della collezione permanente di Marella e Giovanni Agnelli incontra nuove produzioni commissionate ad hoc ad artisti contemporanei con l’obiettivo di valorizzare l’eredità della collezione, ma anche di cercarne le lacune e di riportare alla luce le voci dimenticate.
Situato all’ultimo piano, lo spazio dedicato a questo format espositivo è pressoché ridotto, eppure, è sufficiente per dare adito a questioni teoriche di grande complessità. Beyond the Collection si pone infatti come dispositivo di critica dello storicismo tradizionale della Storia dell’arte, e si assume i rischi di sfidare le genealogie ‘nobili’ della Storia, e, operando a modo di “portale spazio-temporale”, trasporta con stupefacente agilità i visitatori tra le pieghe della storia. Il pubblico museale è abituato a un sistema dove l’attivazione delle collezioni permanenti avviene sostanzialmente tramite prestiti ad altre istituzioni, le quali spesso finiscono per inserire le opere prestate all’interno di mostre blockbuster. Nella maggioranza dei casi, lo scarto temporale che si viene a creare tra le differenti opere esposte non è un elemento di critica, ma un modo per giustificare accostamenti tematici, stilistici o relativi a temi e tecniche. Nel peggiore dei casi, le collezioni permanenti non incontrano mai le mostre temporanee, nemmeno all’interno della medesima istituzione, perennemente divise in piani e sale differenti. È facile immaginare che uno spazio di “contaminazione” come Beyond The Collection possa provocare un leggero spaesamento.
Nel primo pamphlet realizzato in occasione della mostra su Dora Maar e Pablo Picasso, le curatrici descrivono la vocazione dell’innovativo formato come segue:
“Beyond the Collection è il progetto volto a riattivare la collezione permanente del museo. Attraverso il coinvolgimento di artiste e artisti contemporanei o prestiti da altre prestigiose istituzioni, una delle opere della collezione diventa il punto focale di allestimenti inediti, pensati per rileggere il patrimonio storico attraverso le tematiche della contemporaneità. L’obiettivo è quello di stabilire relazioni in grado di riflettere sulle presenze così come sulle assenze della collezione, per far emergere figure dimenticate e sviluppare narrazioni che possano sfidare le letture tradizionali della storia dell’arte.”
La prima edizione, anomala rispetto a quelle che seguiranno, è intitolata “Pablo Picasso e Dora Maar” (26 maggio – 25 settembre 2022), e mette in relazione il ritratto Homme appuyé sur une table (1915-1916) di Pablo Picasso con tre ritratti di ritratti degli anni Trenta raffiguranti Dora Maar, provenienti dalla Fondation Beyeler. Contrariamente alla tradizionale storia dell’arte, che si è sempre concentrata sulla figura di Picasso, la prima edizione sposta il focus sull’influenza di Dora Maar nella pratica dell’artista spagnolo. È però nella seconda – “Tiepolo x Starling” (2023) – e terza edizione – “Lucky Mckenzie e Antonio Canova: Vulcanizzato” (2023) – che l’anacronismo è propriamente “messo al lavoro”, attivato per produrre narrazioni feconde. La volontà di “costruire” una diversa genealogia critica sembra più evidente in queste due edizioni, dove lo scopo delle nuove commissioni di “rileggere” il passato a partire dalle tematiche della contemporaneità, avviene attraverso l’interazione di opere temporalmente distanti ma teoricamente motivate.
In Tiepolo x Starling la Pinacoteca ha invitato l’artista Simon Starling a confrontarsi con l’opera Alabardiere in un paesaggio (1736-1738) del pittore veneziano Giambattista Tiepolo, presente in collezione. Il dipinto vanta una storia particolare: ottantadue anni dopo la sua creazione, nel 1820 l’opera venne divisa in due parti. La parte sinistra, di dimensioni maggiori, venne intitolata Il ritrovamento di Mosé ed è oggi conservata alla Scottish National Gallery di Edimburgo. Starling, che aveva già lavorato nel 2019 sulla tela incisa, in occasione della mostra alla Pinacoteca taglia a metà una Fiat 125 di Giovanni Agnelli immaginando di ricongiungere la tela alla sua parte mancante. Attorno a questo dialogo centrale, sono esposte altre opere di Tiepolo che Starling rilegge attraverso fotografie e sculture per fornire nuove chiavi interpretative all’Alabardiere in un paesaggio.
Per la terza mostra del format, Lucky Mckenzie e Antonio Canova: Vulcanizzato, a cura di Lucrezia Calabrò Visconti e appena prorogata fino al 31 agosto, Lucy McKenzie produce una serie di opere in dialogo con due sculture di Antonio Canova – la Danzatrice con mani sui fianchi (1811-1812) e la Danzatrice con dito al mento (1809-1814). McKenzie, che da tempo lavora sulla rappresentazione del corpo in rapporto all’abbigliamento, propone una critica alla costruzione dei canoni femminili lungo secoli attraverso la realizzazione di tre sculture e un murale. Oltre all’evidente genealogia del corpo normato femminile che è possibile rintracciare nelle opere scultoree dell’artista – che riprendono le qualità estetiche neoclassiche più volte scolpite dalla bottega di Canova – emerge una riflessione sul processo produttivo e capitalistico del corpo e degli involucri tessili pensati per ricoprirlo. L’installazione proposta da McKenzie è inglobata da un murale che aggiunge una dimensione di spazialità ulteriore: una distinzione tra il dentro e il fuori che porta l’osservatore a percepirsi nello spazio pubblico, dove i corpi in movimento (per lo più statuari) diventano spettacolo del mondo. La tensione nella rappresentazione, tra l’anonimato dei manichini e l’identificazione dei personaggi pubblici tramite il ritratto scultoreo, si dissolve nel caso delle soggettività femminili che, nella maggior parte dei casi in cui appaiono nello spazio pubblico, incarnano valori simbolici e astratti, senza un’identità referenziale concreta.
Come è noto, la Storia dell’arte tradizionale lavora in vista di un’inclusione delle varie opere all’interno di “serie culturale” dove, a ognuna, è richiesto di ricoprire una specifica posizione in una catena lineare di cause ed effetti (di stili, di periodi e di ismi). Contrariamente a ciò, ci pare che la sezione BTC metta in discussione la lettura delle relazioni temporali diacroniche della classica storia dell’arte pur mantenendo ogni lavoro storicamente situato. Come ha notato Georges Didi-Huberman, uno dei principali teorici dell’anacronismo, le opere non dovrebbero essere ridotte a documenti della Storia, quanto, piuttosto, farsi segno della condizione storica dei loro tempi, per un’azione semanticamente produttiva 2. Questo è, ad esempio, proprio ciò che è accaduto nella mostra Tiepolo x Starling, dove a partire dal gesto dell’incisione sulla tela — e dunque sulle condizioni storiche di questa divisione — Starling ha costruito la propria poetica. Non si dovrebbe dunque ‘accusare’ questo tipo di formato museale di a-storicismo (e cioè di mancanza di rigore contestuale e storico), ma semplicemente riconoscerne la vocazione antistoricista e la fecondità critica.
Se lo sguardo curatoriale “diacronico” ha ovviamente una sua ragion d’essere, ci sembra che la struttura creata per Beyond The Collection sia il luogo perfetto dove presentare relazioni anacronistiche. È evidente come, all’interno del progetto, venga mostrata un’estetica dell’emancipazione volta a disfare le gerarchie tradizionali, che vuole promuovere un’idea di dissenso e sovversione a partire da una delle collezioni d’arte più significative del paese. Ci sembra un’operazione feconda, quella di discostarsi dalle più comuni attività museali di “riattivazione” pensate a partire dalle qualità figurative reperibili nelle rappresentazioni, il cui pericolo è proprio quello di presentare costellazioni di opere che dialogano prevalentemente a livello formale, ricadendo in un veloce pseudomorfismo 3. Dalle varie operazioni di accostamento formale, ne risultano intere mostre dove il ruolo delle opere del passato è quello di dimostrare l’origine “genetica” di un tema, di un ‘movimento artistico’ o di una qualità espressiva di un particolare artista.
Probabilmente, Beyond The Collection può aspirare, di volta in volta, a costruire una “macchina strutturale” capace di reggere le tensioni che si instaurano tra la singolarità degli oggetti esposti e la generalità delle questioni che essi suscitano4. Una machine à penser, capace di modelizzare quegli elementi strutturali che consentano relazioni anacroniche tra le opere d’arte del passato e quelle commissionate, così da continuare ad essere una delle operazioni più produttive del panorama istituzionale italiano attuale.