Di cosa è fatta la Realtà e cosa sono i fenomeni che la abitano?
Abbiamo forse rinunciato a una osservazione lenta delle cose e del reale in favore di una lettura moderata e superficiale per poter continuare ad esser felici?
Abbracciamo oggi la felicità di cui ha certezza il famoso “ultimo uomo”, razza indistruttibile come quella della pulce, che vive più a lungo di tutti, vive in un eterno presente, non ha ricostruito i suoi valori e censura morte e malattia?
Siamo forse di fronte a un’eclissi del giudizio critico, dello studio e dell’approfondimento?
Che a parlare sia “l’uomo della strada” o “l’esperto” sembra imperante l’abbandonarsi con facilità a una piatta concezione della vita e del mondo, cancellando differenze qualitative e sottomentendosi alla tirannia delle opinioni e dei pareri. Facili da produrre, facili da rimangiare. Questa epoca della quale siamo attori partecipi, questa frattura in cui ridefiniamo e ricostruiamo le nostre moderne strutture, è ricca di complessità e narrative alle quali abbiamo rinunciato abbracciando una edulcorata trama del reale.
Abbiamo smesso di smontare e rimontare i piani di una realtà che ci appare ormai univoca; e popolata da oggetti-feticcio collezionati su uno scaffale.
I giocattoli sono davanti ai nostri occhi, e sono reali.
Con questa mostra Francesco Jodice manda volutamente alla deriva il suo personale confronto con le grandi tettoniche geopolitiche, rinunciando al suo approccio di ricerca volto alla costruzione di ampi archi narrativi. Dopo West e City Tellers, durati otto anni e What We Want quindici, inizia per Jodice un momento “pittorico”, lavorando su opere semioticamente autonarrative, che iniziano e si concludono senza innestarsi in un telaio narrativo. Sono oggetti autoportanti. Le opere esposte, alcune recenti, alcune letteralmente nuove, altre abusate da progetti preesistenti cadono dentro questo racconto.
La mostra-racconto, dal titolo volutamente e pericolosamente puerile (GIOCATTOLI) nasce dalla convinzione che l’Occidente abbia progettato e premeditato l’abbassamento della nostra soglia dell’attenzione… non degli altri, del “nemico”, della nostra. Difatti, negli ultimi 10-15 anni siamo stati istigati a scremare un po’ alla volta il desiderio di una lettura complessa della trama della realtà. Esasperati abbiamo gridato basta, abbiamo rifuggito quell’istinto di ricerca. È stato un progetto, non c’è nulla di casuale. Questa progettualità non riguarda l’arte in prima battuta, ma riguarda la cultura nel senso più alto – la cultura popolare, la cultura di tutti – e ha poi stratigraficamente coinvolto anche quelle che una volta erano chiamate le intelligentie. Il punto è che noi abbiamo gradualmente accettato e metabolizzato questo processo abbandonandoci ad esso. Ecco quindi spiegata la citazione dei Black Sabath – che diventa manifesto della mostra – e il titolo: non c’è nulla di più pericoloso di un oggetto contundente volutamente frainteso per un giocattolo.
Le opere presentate sono, come gran parte della produzione recente di Jodice degli oggetti “fisicamente bellissimi”, che chiunque può acquisire, collezionare o fruirne in modo ambiguo. Ciò accade, o perché sono molto belli, o perché si è ancora in grado di comprendere che si tratta di oggetti molto pericolosi, acuminati, rituali. Giocattoli, quindi, ma pericolosi; pericolosi solo per chi è ancora talmente paludare e noioso da provare un profondo amore per la lettura stratigrafica dell’ambiente e delle cose che ci circondano. Altrimenti sono soltanto oggetti. E così, nonostante viviamo la prima vera epoca di paura dopo la fine della guerra fredda, siamo tutti sereni, perché abbiamo accettato e condiviso, questa neo-imposizione di una realtà semplificata. È tutto social, è tutto impellicolato, tutto in superfice.
E questo è anche il motivo della mancanza di un reale comunicato stampa… è tutto lì. “Come recita Computer God dei Black Sabbath <<[…] gli oggetti stanno tutti intorno a te… cos’altro vuoi? E sono reali! >>. Poi che siano giocattoli o che siano macchine della visione più complesse, questo sta a te. Non c’è più nessuno che ti aiuterà, non c’è uno stato che ti indaga, non c’è una realtà complessa che viene a bussare alla tua porta, è tutto demandato a te.”