A cura di Giuliana Altea, Antonella Camarda, Luca Cheri.
Il Museo Nivola è lieto di presentare la mostra “Pratza ’e domo. Una casa semiotica mai costruita”, un progetto realizzato da Nairy Baghramian per il museo a seguito dell’assegnazione del Premio Nivola per la scultura 2023. La mostra comprende opere degli artisti e designer Nairy Baghramian, Phyllida Barlow, Nicolas Hsiung, Janette Laverrière, Rosemary Mayer, Win McCarthy, Julie Mehretu, Oscar Murillo, Paulina Olowska, Monica Sosnowska, Mariantonia Urru.
Il titolo di Baghramian “Pratza ’e domo” (letteralmente “piazza di casa”) riprende l’espressione che in Sardegna designa lo spazio antistante un’abitazione, spesso provvisto di una panchina o di una sedia su cui è possibile sostare; un’area di transizione non chiaramente delimitata, al tempo stesso privata e pubblica, individuale e collettiva. Questo spazio, a un tempo fisico e concettuale, si lega all’idea della “casa semiotica mai costruita”, un progetto realizzato da Baghramian nel 2008 al NAK – Neuer Aachener Kunstverein insieme a Janette Laverrière e Henrik Olesen (Affairs. A semiotic house which was never built).
La casa è concepita dall’artista come uno spazio utopico che non è mai stato costruito e potrebbe non esserlo, ma il solo fatto di immaginarlo ne evoca la possibilità di esistenza, rendendolo credibile. È un ambiente provvisorio in cui sviluppare o accantonare idee e progetti, in un processo di continua elaborazione e ri-assemblaggio di frammenti. Ogni frammento è una creazione indipendente e al tempo stesso concorre “con un movimento all’indietro”, come dice Baghramian, alla definizione di un contesto.
Il progetto per il Museo Nivola combina una serie di aspetti da sempre presenti nella pratica di Nairy Baghramian. Uno di questi è l’interesse per i confini tra spazio pubblico e privato, esterno e interno, da lei esplorati in quanto potenzialmente permeabili e perciò carichi di tensione. Se nelle opere precedenti dell’artista la tensione si delinea in genere tra lo spazio istituzionale del museo o della galleria e lo spazio sociale, in questo caso lo spazio istituzionale si identifica idealmente con quello domestico, complice anche la forma dell’ambiente espositivo, un ex lavatoio dal tetto a capanna, che ricorda una casa. Della casa, la sala del museo assume i caratteri di accoglienza e protezione, diventa un recinto in cui discorsi artistici diversi possono coesistere e risuonare insieme. La fusione tra spazio pubblico e privato caratterizza sia la nuova scultura di Baghramian To Let, montata sulla facciata dell’edificio e in dialogo con quelle di Phyllida Barlow, sia l’immagine dell’opera January ’17 Calendar (Der Fuß des Künstler, 2017) di Win McCarthy – che appare come gesto effimero nel poster della mostra – e in cui gli assi spaziale e temporale convergono in un ibrido fra calendario e planimetria.
Un altro ambito di confine che attira l’attenzione di Baghramian è quello tra arte e design, tra dimensione estetica e dimensione ornamentale, indagato nella mostra attraverso opere volutamente ibride come la sedia-scultura Chaise L’Afghane (1987) di Janette Laverrière, l’abito da lavoro dipinto Arepas y Tamales (2022) di Oscar Murillo, gli sgabelli di Nicolas Hsiung o, della stessa Baghramian, il monumentale tappeto tessuto a Samugheo da Mariantonia Urru (il cui disegno minimalista allude all’idea dello spazio negativo, cara all’artista e richiamata dalla visione del “pozzo sacro” di Santa Cristina in Sardegna) e la maniglia-scultura applicata a una porta nel cortile del museo.
L’incompiuto, il non finito, il non realizzato sono anch’essi temi ricorrenti nell’opera di Nairy Baghramian, le cui sculture spesso apparentemente fragili o incomplete accennano a un disagio, a una difficoltà di adattamento che le costringe a reggersi su stampelle o ad appoggiarsi all’architettura, come nella serie Scratching the Back realizzata per la Facade Commission del Metropolitan Museum di New York nel 2023. Precarietà, incompletezza ed effimero ritornano nella casa in costruzione su un albero dipinta da Paulina Olowska (Tree House, 2016), nell’aerea struttura di cellophane, nastri, legno e altri materiali di Rosemary Meyer (Midwinter Ghost, 1980-81 / 2024), nelle opere dall’aspetto grezzo e provvisorio di Phyllida Barlow (Untitled, 2010), nei frammenti di recinzioni di Monika Sosnowska (Gate, 2019), così come nei ritmi turbinanti delle composizioni astratte di Julie Mehretu.
Baghramian non è nuova a esperienze di collaborazione e ha da tempo sviluppato la pratica di trasformare inviti per mostre personali in esperienze collettive con altri artisti, come la già ricordata Janette Laverrière, Jean Timme, la coreografa Maria Hassabi, e più recentemente Julie Mehretu, con la quale intrattiene un dialogo che dura da anni, culminato nella collaborazione per la realizzazione delle cornici scultoree che Baghramian ha ideato per i Transpaintings di Mehretu compresi nella mostra Ensemble a Palazzo Grassi nel 2024. Come nelle mostre Off Broadway al Wattis Institute di San Francisco (2014) e Open Dress al Museum Abteiberg in Germania (2015), al Museo Nivola collaborazione e partecipazione vengono di nuovo decisamente in primo piano nella sua opera, con un progetto che riunisce un gruppo di artisti legati a Baghramian da varie affinità e che riflette sul potenziale utopico e sovversivo del lavoro collaborativo, in un campo così ideologicamente legato all’espressività personale, se non all’idea dell’artista-eroe solitario e tormentato, come quello dell’arte contemporanea.
Infine, il concetto della mostra richiama la condizione di esiliati di Costantino Nivola e di sua moglie Ruth Guggenheim, che fuggirono dall’Italia fascista nel 1938 per stabilirsi a New York e tornarono occasionalmente in Europa e in Sardegna solo dopo la fine della guerra.