Forse facevano meglio a mettere dieci suonatori di più in orchestra e a risparmiare qualche decina
di comparse in palcoscenico: appena cominciano a entrare, si vede subito l’ambizione di fare
l’Arena di Verona in poco spazio; e del resto, ogni gruppo che vien dentro, si vede che arriva da
un’opera diversa. Qualcuno, anzi, da un film. Ci sono troiani dell’Iliade e gladiatori del Quo Vadis,
marinai fenici, reziari del Circo, ‘verdi’ e ‘blu’ di Costantinopoli, guerrieri egizi dell’Aida; il gruppo
della Figlia di Iorio, con le sue prefiche ululanti in scialle nero; e quello della Gioconda, che fa
anche un po’ Fornaretto di Venezia, perché Oroveso e i suoi sono puro Tintoretto, i dogi cattivi della
Sala del Maggior Consiglio, con barbe finte, mantelli bizantini, e in testa corone da Re Magi, Re del
Lohengrin, Re delle carte da gioco, l’Amore dei Tre Re.
Alberto Arbasino, Grazie per le magnifiche rose. Una scelta, Adelphi Edizioni; pagine 121-122.
Giorgia Garzilli presenta un nuovo ciclo di dipinti ad olio su tela in cui utilizza il mondo dell’opera e gli strumenti di musica classica come un ‘MacGuffin’ cinematografico per comporre un ‘grido orchestrato’. Il lavoro dell’artista è una tassonomia romantica delle affettazioni materiali e intellettuali della borghesia italiana: i suoi rituali, la sua ideologia e la sua estetica vengono impiegati come substrato concettuale per riflettere sulla natura della pittura come dispositivo cognitivo per ricreare il visibile.
Nella sua opera, riferimenti visivi dalla poesia concreta e dalla filmografia meno conosciuta di Federico Fellini (‘Prova d’orchestra’) infondono le opere con una nostalgia per l’intellettualismo del passato, lanciando una critica latente alla ‘mercificazione della cultura’. Allo stesso tempo, il focus sugli strumenti a fiato si collega a un interesse più profondo per il respiro come metafora dell’anima e per la musica come comunicazione senza parole, molto simile alla pittura, dove si pensa con il corpo e si sente con il cervello.