riflessioni lampo su un palcoscenico esplosivo
Con una vasta pratica artistica che comprende installazioni, pittura, performance e scultura, Jacopo Benassi è riconosciuto per il suo approccio unico alla fotografia. Dagli anni Ottanta documenta soggetti e collettività appartenenti a ciò che è ampiamente inteso come underground, spesso vincolati al mondo della musica. Nel ritrarre ambienti sociali normalmente poco visibili sui canali mainstream, le sue immagini sono una potente dichiarazione contro le concezioni unidimensionali della società e, cosa ancora più importante, testimonianze dell’energia vitale che emerge dai suoi margini.In questo senso, l’opera di Benassi tira a lucido i vecchi concetti della percezione di sé e degli altri, inserendo la divergenza nell’omogeneità e la liberazione nella repressione, e promuovendo altri modi di concepire e di stare al mondo.
L’utilizzo del flash è probabilmente una delle caratteristiche più distintive della pratica dell’artista, mentre la nitidezza della lente consente di interagire con il corpus delle sue opere. Derivante dagli sviluppi della fotografia e, in particolare, dagli esperimenti di Robert Bunsen e Henry Roscoe con il magnesio a metà del 1800, il flash si riferisce sia allo scoppio di luce che all’unità di misura della luce. Il termine è anche utilizzato per descrivere apparizioni fugaci o fenomeni simili ad esplosioni, questi ultimi richiamando il suo utilizzo originale come processo di illuminazione pirotecnica ad accensione.L’opera di Benassi traspare dalla sua biografia. La consapevolezza chel’attrazione omosessuale fosse considerata un’emozione socialmente deviante segnò uno dei primimomenti della sua vita, a cui seguì il suo coming out e, contemporaneamente, l’avvicinamento alla fotografia. Nella vita di Benassi, due flash intersecanti si sono uniti per dare il via al big bang della sua pratica artistica.
Mentre la funzione normativa del flash permette di fotografare ciò che la macchina fotografica potrebbe non catturare in condizioni di scarsa illuminazione, in realtà il flash nasconde tanto quando rivela: questo breve e intenso lampo di luce potrebbe produrre sezioni contrastanti molto illuminate accanto ad aree scure sui bordi di un’immagine. Ne consegue che l’utilizzo ricorrente del flash è altamente significativo: da un lato inverte le vecchie dinamiche sociali di visibilità e potere, dall’altro porta alla luce le paradossali capacità silenzianti del flash. Le sue immagini, conferendo sprazzi di luce a figure e situazioni silenziose, funzionano sia come gesti di sfida che come riflessi o riflessioni autocritiche.
Con “Sàlvati Salvàti”, Benassi concepisce la mostra come un mezzo per interrogare i visitatori, impedendone un atteggiamento distaccato. Coreografato da una caotica barricata, lo spazio della galleria incarna il periodo conflittuale che stiamo vivendo e sottolinea l’impossibilità di uno spazio esterno. Tra gli altri esempi, le barricate evocano il maggio 68 e la Rivoluzione francese, riferimenti fondamentali agli immaginari politici alla base delle attuali configurazioni sociali inEuropa. Allo stesso tempo, il loro carattere bellicoso potrebbe essere inteso anche come riferimento diretto ai conflitti in corso in luoghi come l’Ucraina, la Palestina o il Sudan. Attraverso la sua configurazione intrinseca, la barricata si manifesta anche come un indicatore della conflittualità all’interno delle nostre società, sempre più articolate da processi di frammentazione e polarizzazione. Combinando queste letture, la barricata, per via della sua collocazione in una galleria, dà voce anche a questioni legate alla capacità dell’arte di agire sulla società.
Se è vero che Benassi potrebbe parlare da un punto di vista soggettivo, la sua opera si occupa di ampie questioni sociali e, qui in particolare, affronta la mentalità generalizzata dei nostri tempi, guidata dalla rabbia e dallo smarrimento. Josh Cohen, psicoanalista e professore emerito di inglese alla Goldsmiths University di Londra, sostiene che i sentimenti di rabbia sono una “struttura emotiva che definisce la nostra vita sociale e politica quotidiana, dando origine a un’atmosfera pervasiva di paura reciproca, sospetto e accusa, in cui ogni percezione di differenza culturale, ideologica, etnica, sessuale, di classe–sfuma rapidamente nel presupposto dell’inimicizia”. La barricata di Benassi sembra incarnare le ipotesi di Cohen e riformula lo spazio della galleria comeun forum pubblico. L’installazione centrale è accompagnata da scultorei assemblaggi di fotografie, dove le immagini coprono altre immagini in set avvolti da cinghie in tensione.
Queste opere accrescono le risonanze della mostra sul nostro contesto critico: le immagini nascoste si manifestano simultaneamente sia come fari sia come nascondigli di forze silenziate erepresse, bloccando le scene rappresentate per stimolare un’interazione immaginativa. Nello stesso modo, intesi come istanze di inclusione ed esclusione prossime al collasso, i set, tenuti stretti dalle cinghie, fanno intuire la minaccia di possibili esplosioni sociali, concretizzando una posizione liminale, prevedendo esplosioni di energia ed illustrandone le conseguenze. Le quattro performance presentate durante la mostra intensificano queste tensioni: mettendo i membri del pubblico nello stesso posto allo stesso tempo vengono create effimere collettività viventicomposte daestranei, in contrasto con l’abituale iter di una normale visita in galleria.La detonazione proposta dalle narrazioni dominanti si manifesta in modo particolare nell’opera Brutal Casual, dove la paternità fotografica è affidata al pubblico. In “Sàlvati Salvàti” l’ignoto si materializza come forma porosa aperta a molteplici possibilità.
Sono numerosi i segnali che ci allertano dei pericoli di reiterazione degli avvenimenti degli anni Trenta, un momento simile a quello che Gramsci definì come un periodo di decadenza, dove il nuovo mondo stenta a farsi avanti e i mostri emergono. Affrontando l’attuale clima post-Brexit etentando di offrire una via d’uscita, Josh Cohen sostiene che per resistere al populismo di estrema destra “non è tanto l’appello razionale ai fatti che dobbiamo fare, quanto il contatto con la profondità e la complessità dei nostri sentimenti”. Per questo psicoanalista, “nascosto sotto(…) una spirale di rabbia repressa c’è un ricco e complesso filone di esperienze emotive che dovremmo ascoltare (…), invece dei rumorosi slogan che cercano disoffocarle”. In “Sàlvati Salvàti” Benassi offre sia un lampo di avvertimento ed allarme sia un palcoscenico dove rabbia e confusione possono essere vissute ed espresse collettivamente. Invece di un conflitto a morte sempre più cruento, troviamo uno spazio per svelare nuove possibilità e per aggirare confini, categorie e opinioni che tendono all’esclusione. Siamo invitati a uno spazio di conflitto in cui possiamo mettere in atto e riflettere sui nostri sentimenti, superando la paura che divora l’anima.