Alice Visentin “Everyday Mistery” Giò Marconi / Milano di

di 31 Ottobre 2024

L’idea di wor(l)d-building e la sua conseguente attitudine al pensiero magico sono aspetti resi cari grazie alla mia educazione femminista, ma quando si parla di riscrivere il mondo, di tramandarne le sue cronache, avverto sempre una tensione sottile, un misto di dolore ed eccitazione. Come si fa a riplasmare una società che si dirige verso il collasso climatico, guidata da valori e sistemi che incoraggiano il consumo e prosperano sulla disuguaglianza coloniale? Forse ciò che serve per (ri)costruire la trama della nostra storia è una solida immaginazione di ciò che sembra inimmaginabile, creare spazi che coltivino questa potenza creativa con uno sguardo rivolto al fantastico, all’altro.

Ed è proprio in questo non-luogo d’incanto che si colloca “Everyday Mistery” la prima mostra personale di Alice Visentin presso la galleria Giò Marconi. L’artista ci invita a esplorare trame fatte di pittura e luce, raccolte di testimonianze trascurate mescolate ad archivi in costruzione del presente. Con un approccio dedicato all’ importanza della dimensione devozionale, Visentin si muove tra passato e futuro, dando voce a storie dimenticate che sfuggono alla linearità del progresso.

Le sue tele, o più precisamente, diari, così da lei chiamati, diventano luoghi di resistenza, spazi dove l’improbabile prende forma, dove la narrazione al femminile si intreccia alla creazione di universi inediti, rifiutando i confini stretti del reale. Temi come la non-autorialità, l’infanzia e la narrativa d’impronta femminista si sovrappongono naturalmente nella pratica di Visentin. Proprio come una fiaba, i suoi racconti si muovono tra metafore, creando episodi che non solo evocano, ma plasmano soggettività originali. È attraverso questa fabulazione, che i suoi lavori diventano specchi di mondi verosimili, guidati da simboli luminosi, da una felicità semplice, buona, possibile.

Entrare in “Everyday Mistery” è come essere accolti in un universo liquido, dove le immagini emergono e si dissolvono, in un fluido gioco di forme e colori. Corpi, paesaggi, forme vegetali e oggetti quotidiani si affiancano e si intersecano tra loro, creando un affresco disordinato e impreciso, ma ricco di possibilità. Centrale nella produzione dell’artista è l’idea dell’archivio, non solo come luogo di memorie esterne, ma come dimensione animata, corporea. La sua ricerca nasce da un processo di stratificazione, tramite il quale mescola riferimenti archeologici alla contemporaneità, imbevendo i suoi lavori di un vissuto internazionale e collettivo, rielaborando riferimenti di ogni tipo e da ogni dove.

Nelle mani dell’artista il tessuto diventa un mezzo capace di trattenere e rilasciare informazioni, come l’atto del ricordare. L’acqua, componente chiave nel corpo dei lavori presentato in mostra, agisce sia come elemento di erosione che di conservazione. Questa fluidità diventa una metafora potente del processo di creazione artistica, dove l’ordine è solo una delle molte possibilità, e il caos diventa uno spazio di libertà. In questa tensione tra disciplina e disordine, tra struttura e libertà, i materiali usati – glitter, pennarelli e pastelli – parlano di una manualità che richiama l’infanzia, ma che ha un potere sovversivo. La semplicità delle figure e la delicatezza dei segni non sono casuali, come i giochi di un bambino, nascondono un potere trasformativo. Visentin si rifà a un’estetica primitiva, quasi elementare, che evoca un desiderio di creare un linguaggio semplice, ma potente. Le sue immagini, pur nel loro apparente candore, aprono spazi inediti di significato. Le dissonanze presenti nei suoi diari non cercano una risoluzione, ma convivono armoniosamente. Ogni opera è una narrazione che si svela lentamente, come in un racconto sussurrato. I personaggi sembrano abitare una dimensione quasi invisibile, sfiorando appena la realtà ma ancorandosi con forza a un immaginario collettivo che rifugge dalle logiche espositive lineari.

Le tele, retroilluminate in modo che fronte e retro si fondano, creano un effetto di trasparenza che ricorda gli inganni delle ombre proiettate dalle lanterne magiche, elemento di fascinazione e di studio ricorrente nella ricerca dell’artista. Le figure non sono fisse, ma sembrano oscillare tra il visibile e l’invisibile, tra il presente e il passato, in continuo viaggio. Visentin trasforma il suo interesse per le immagini in movimento in un terreno cruciale per lo sviluppo della rievocazione di tradizione femminista. L’artista esplora il pre-cinema delle lanterne, come antichi dispositivi che portavano la meraviglia visiva nei villaggi, rendendo il miracolo accessibile a tutti. Visentin gioca con il concetto di narrazione condivisa, di un incanto collettivo che trova radici nella comunità. La luce non solo svela, ma accentua la confusione, evocando quel pizzico di magia che l’artista riconosce essere parte integrante della realtà. Muoversi all’interno della mostra è come attraversare un universo in bilico tra ordine e disordine, dove ogni pezzo racconta questioni tra le più disparate che inesorabilmente si intrecciano.

All’ingresso della mostra, tre opere Mediterraeo lasciati – lascia che entri il sole, aria che vuoi profumi sparsi (2024), Non mi dare fastidio (2024) e, la mia casa, il mio vicinato (2024) ci accolgono come fossero l’incipit di un racconto visivo, più una quarta il libro dell’asinello (2024), nascosta dietro ad una tela al fondo della sala, a mimare il nascondino. Questi lavori, rinominati dall’artista quaderni sono pagine di un diario che si aprono su un mondo frammentato e in continua ricomposizione. Nascono da studi, inizialmente insoddisfacenti per l’artista, che hanno però trovato la loro piena realizzazione una volta liberati dal telaio, come se, una volta sciolte da una struttura rigida, potessero finalmente respirare. I ritagli di tessuto non si limitano a rappresentare, ma agiscono come pagine ricomposte, frammenti di descrizioni che perdono ogni chiarezza immediata. In questo processo di scomposizione, Visentin sembra volerci far perdere tra i pezzi, sfidandoci a ricostruirli come lettori attenti di un libro in cui i capitoli si mescolano, suggerendo che ogni frammento appartiene a un disegno più ampio e complesso. Questa frammentazione non disorienta, ma amplifica l’intimità del percorso narrativo, invitandoci a scorgere, al di là del singolo dettaglio, l’insieme di cronache sfuggenti ma profondamente evocative, un quaderno che richiede di essere letto e vissuto a più livelli.

In un angolo speciale, racchiuso, dell’esposizione, soprannominato dall’artista “la grotta”, troviamo quattro opere ravvicinate, rispettivamente sky sky sky our lullaby (2024), The random detritus of history (2024), Then I heard the vowels from my own mouth (2024), e Re-Orientation, memory lane (2024), in un allestimento che si rifà all’esplorazione infantile di luoghi misteriosi. Visentin si ispira alla tradizione popolare di dare nomi immaginifici a spazi privi di toponomastica ufficiale, un gesto che rafforza l’idea di intimità e comunità, nonché a una modalità popolare di enunciare un luogo che non ha nome con fare immaginifico, creando una narrazione che trasforma l’anonimato in simbolo.

In fondo, “Everyday Mistery” ci induce a guardare il mondo con occhi nuovi, a lasciarci andare al potere dell’infanzia, dove ogni cosa può essere reinventata e ogni storia può essere riscritta. Questo accavallamento di corpi e idee si traduce in una pratica artistica che abbraccia la confusione come forma di resistenza. C’è una fiducia radicale nel caos, nella stratificazione di narrazioni che si sovrappongono senza una linearità precisa grazie all’utilizzo di un’estetica DIY tutt’altro che ingenua, ma che richiama la tradizione femminista del personale come politico. È un invito a riscoprire quel potere trasformativo che solo chi osa abbandonare la rigidità del reale può toccare. Visentin, con il suo sguardo incantato, ci accompagna in un altrove dove la possibilità diventa l’unico vero orizzonte.

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Vittoria Martinotti