Lo Zibaldone. Scritti e poesie di

di 4 Ottobre 2024

In occasione della mostra dedicata a Mario Merz, “Il numero è un animale vivente”, a cura di Stefano Raimondi e Patrizia Nuzzo, frutto di una collaborazione tra i Musei Civici di Verona – Galleria d’Arte Moderna Achille Forti, ArtVerona e la Fondazione Merz nel contesto della seconda edizione del format Habitat, il Time Machine propone la pubblicazione di due testi dall’archivio di Flash Art per approfondire la vita e l’opera dell’artista italiano. Habitat è un progetto che indaga la relazione tra l’opera, lo spazio e il pubblico offrendo ai visitatori l’opportunità di misurarsi con la fisicità e la dimensione spaziale delle opere.

 

Parto dall’emozione che mi dà un oggetto artigianale fatto per esempio di vimini intrecciati la cui struttura archetipa annulla la materia (negli utensili primitivi la materia era annullata dalla elementare ma assoluta funzionalità); dopo, procuratomi l’oggetto, cerco di appropriarmi manualmente della sua struttura disponendolo in varie posizioni finché lo sento vivere all’unisono con la mia struttura fisica; a questo punto interseco tale forma con l’immagine di una energia diversa come, ad esempio, un tubo al neon.

Il lavoro col neon è nato come luce o barra di luce o flusso di luce che attraversa gli oggetti e li distrugge come idea di oggetto. Ho attraversato col neon la bottiglia per distruggere la bottiglia, per fare della bottiglia qualche cosa d’altro, che però rimane bottiglia e luce.

Nel 1967 ho usato il pensiero di Giap per fare un’arte di osservazione. Ho pensato che il suo pensiero osserva le realtà, il “nemico” che può essere rappresentato con un numero di uomini in uno spazio, se gli uomini si raggruppano lasciano lo spazio libero alle altre forze, se si disperdono perdono ogni forza d’urto. Anche l’osservazione di Giap è numerica.

Concentra e abbandona il terreno
Disperdi e perdi la forza
Il fiato ha due narici
La mano ha cinque dita.

Igloo, forma sintetica e naturale, la sua superficie
Come la più grande superficie nel minore spazio.

La serie di Fibonacci pubblicata a Pisa nell’anno 1202 segue un’idea molto semplice. Sommare o trascinare con sé il numero precedente nella formazione del seguente. Uno somma con zero 1 + 0 = 1 perciò 1,1. Poi uno sommato a uno, uguale a due. E due sommato a uno, uguale a tre. Scritti in sequenza sono allora, 1 1 2 3. Poi il tre somma il due per formare il cinque. Il cinque il tre per formare il numero otto. Così la sequenza si allunga, ma anche si dilata rapidamente come la crescita di un organismo vivente. 1 1 2 3 5 8 13 21 34 55…
La fine di questa operazione come si capisce non esiste…
Ma nella macroscopia della dilatazione si rinnova il fermento organico dello sviluppo come proliferazione. Essi versano lo spazio in uno spazio più grande che è lo spazio infinito.

Object cache-toi, 1968. Questa è un’altra frase come quella di Giap. Queste frasi hanno un loro valore filosofico molto forte. Ho utilizzato frasi che sentivo probanti in quei momenti. La frase allude all’insignificanza dell’oggetto, al togliere valore all’oggetto. (…). L’oggetto a me non interessa. Object cache-toi vuol dire solo questo. Ed è una frase esistenzialista, di un’epoca esistenzialista. È come quando a teatro arriva un mago che ti fa sparire un oggetto davanti agli occhi. Quindi nel caso di quest’opera l’oggetto diviene meno significante come oggetto, o quasi nullo, nei confronti dell’oggetto terrestre che è l’oggetto che supporta tutto.

Tenda di Gheddafi, 1981. Ho visto una volta un arabo che piazzava la tenda nel deserto e dentro entrava l’aria da tutte le parti, volava tutto, pezzetti di carta, tabacco, di tutto, però non cadeva, resisteva ai venti terribili del deserto ed era una tenda. Allora ho fatto l’igloo tenda con il nome di un generale di quei popoli che in quel momento era famosissimo. In questo igloo è interessante che la tela sia dipinta e quindi lo puoi pensare anche come dipinto, però non come quadro staccabile, non è un quadro che tu puoi prendere e portare in salotto, è un fenomeno diverso. La struttura sostiene la pittura e viceversa. La forma stessa è ventosa; allora c’è la possibilità che il vento disfi la forma oppure la gonfi; e in questo caso la pittura resiste all’afflosciamento della forma perché se non ci fosse la pittura la forma si affloscerebbe, perché la tela non tirata sugli angoli si affloscia. Quindi è un oggetto visivamente molto interessante perché una cosa sostiene l’altra. Anche la cucitura delle tele l’una sull’altra è importante, così come l’apertura che fa intravedere il vuoto interno e che, come nell’architettura, dà valore all’esterno.

Città irreale (mostra degli igloo), 1985. Ogni igloo è riferibile a se stesso, ma nel contesto grandioso insieme a tutti gli altri. È una mostra che tende a essere urbanistica. Una concentrazione di elementi singoli ognuno per sé in un’organizzazione generale dello spazio. Uno dei fenomeni interessanti della città è la proliferazione delle case in quanto prodotti umani. La proliferazione dei negozi, la proliferazione dei letti, la proliferazione delle cantine, dei solai, delle vite in generale in un flusso continuo. In questo caso c’è la proliferazione del fenomeno costruttivo e anche purtroppo estetico dell’oggetto. Però non è una proliferazione automatica, quindi biologica, è una proliferazione di entità a sé stanti che hanno bisogno di esprimersi, ognuno singolarmente con una propria personalità. Questo fenomeno dello stare insieme (gli igloo) è importante in quanto fenomeno di presenza, sono presenze insieme. Nonostante l’oggetto sia simile da un punto di vista costruttivo, è invece molto personale sul piano della realizzazione. Questo è un fenomeno sia artistico che architettonico. L’organizzazione dello spazio diventa quindi un’architettura che si realizza o si disfa costantemente, nella dinamica dei rapporti dei singoli elementi l’uno con l’altro.

Il rapporto fra l’igloo e l’architettura non è mai un rapporto diretto. C’è il rapporto con una situazione umana, perché se fosse un rapporto con l’architettura sarebbe un valore architettonico, mentre mi voglio astrarre dal valore architettonico. L’igloo è un simbolo, una simbologia dell’astrazione, non è un valore architettonico a sé stante, in questo senso non seguo la linea degli architetti, che hanno bisogno di economia politica, e non di astrazione. Astrazione vuol dire sopravvivenza dell’essere, processo di astrazione come processo di essenzialità di se stessi, sopravvivenza come essenza. Anche con il design, per esempio, non ho nessun rapporto. Filosoficamente mi sono sempre impegnato per portare quello che è organico dentro queste strutture e non quello che è il progetto che significa, in un secondo momento, ricreazione del prodotto a scopi che sono diversi da quello del modello stesso.

Proliferazione di Fibonacci, 1969. Ho immaginato di fare una spirale che iniziava all’interno dell’edificio e continuava all’esterno. Ma non perché l’edificio non mi piacesse, l’edificio era lì: ho solo reagito all’edificio stesso; l’idea era quella di uscire e non di restare dentro; come spesso accade nel mio lavoro, in cui c’è una volontà di uscir fuori piuttosto che di rimanere all’interno. Nel caso di Mies van der Rohe è stato così; essendo lui stesso un fenomeno di astrazione, può darsi che io abbia avuto in quel momento l’idea di reagire a questa astrazione, rappresentata da questa architettura modernista. Io di solito non reagisco contro, reagisco in favore di, però il fenomeno diventa contrario. La spirale in se stessa ha un movimento che, contemporaneamente, ti attrae verso il centro e te ne allontana: due fenomeni opposti presenti in un’unica forma geometrica; ti proietta fuori e ti richiama dentro, ti risucchia e ti espelle: è allo stesso tempo un fenomeno spaziale e un modo per agire. È anche un aspetto cosmico delle distanze, è una valorizzazione cosmica della distanza.

I numeri nella loro valenza fisica e mentale, e non semplicemente scientifica, servono per la misurazione esistenziale del mondo, per posizionare il proprio io in rapporto al tempo e allo spazio con un metodo che è tra conoscenza scientifica e pensiero magico, mitico. Un numero è sempre relativo perché in sé non significa nulla. Prende significato solo se posto in relazione con qualcosa, con dei tavoli, e per le relazioni che intercorrono tra essi. Il numero deve applicarsi a un corpo fisico, a una dimensione, a un fatto tangibile, altrimenti il numero in se stesso diventa del tutto astratto. Come matematico puoi anche usare il numero in se stesso, ma come essere umano non puoi.

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