“BLUE BLUE BLUE LIMBO” è il titolo della mostra personale di Industria Indipendente – aka Erika Z. Galli e Martina Ruggeri – a cura di Michele Bertolino, presso gli spazi di Almanac a Torino.
Impostata come una moodboard, la mostra funziona come un archivio aperto, all’interno del quale le fonti della ricerca e gli interventi del collettivo Industria Indipendente si mescolano all’interno dello spazio espositivo. In diffusione negli spazi di Almanac, oltre che una composizione audio formata da diverse campionature di suoni ambientali di palestre, successivamente mixate tra di loro, si riconoscono le note distorte di I Feel Love di Donna Summer e alcuni estratti di poesie registrate.
Lo spazio è allestito come una palestra, metafora dell’“allenamento sensoriale” al quale il pubblico è invitato a partecipare. Tra i bilancieri e gli accessori da spogliatoio, appese al muro si trovano diverse annotazioni sulle scansioni stampate di The Last Sex: Feminism and Outlaw Bodies di Kathy Acker, la cui voce viene evocata ripetutamente anche attraverso quotes segnate sulle porte degli armadietti in metallo, operazione che sottolinea l’inevitabile olfattività presente nelle opere dell’autrice. La scrittura di Acker infatti si è spesso manifestata come una pista di pensiero analogica, appropriativa, guidata da un istinto bendato; in perfetta coerenza con la postura della mostra.
Al mio arrivo da Almanac, ricordo di aver sentito una scia profumata, leggermente saponosa, che mi ha guidata verso lo spazio, svanendo poi lentamente. Una volta all’interno della mostra, certa della sua presenza, l’ho riconosciuta vicino al lampeggiare dei diffusori di uno degli armadietti. Mi avvicinai fino a bagnarmi il naso ma l’odore rimase vago, generico, sfuggente. All’interno della mostra infatti, l’odore funziona da escamotage evocativo 1 “per inclinare l’attraversamento del luogo”2, come dichiarato dal curatore Michele Bertolino; un veicolo mediante il quale far aderire il pubblico alle narrazioni finzionali presenti nella mostra. Come una risonanza extra spaziale diffusa nell’ambiente, la presenza sinestetica del blu ci si aggrappa al corpo trasformandolo in un manifesto invisibile, poroso e sensibile. “Cosa davvero accade quando ti respiro?”3 leggo nel testo di sala e a questa domanda, la mia mente rievoca una eco di Jenny Holzer dal 1996: “I bite your lip. I breathe your breath. I smell you on my skin.”4
“BLUE BLUE BLUE LIMBO” si fa così territorio fertile per lo sviluppo di analogie e suggestioni altre, diventando una moltitudine di tracce che si propagano fuori e dentro lo spazio in grado di innescare nuove connessioni e riflessioni. Il blu e l’olfatto emergono così come elementi che oscillano tra il qui e l’altrove, capaci di attivare immaginari condivisi e di trasformarsi in simboli di un territorio indefinito, in costante divenire. Il corpo, all’interno della mostra, diviene assente, seppur desiderante: un fantasma che vive in una suggestione di sé eludendo la sua stessa immagine. Qui, come in Blue (1993) di Derek Jarman, c’è una fine prossima e una vita che la mastica. Coinvolta in questa trama, colgo il blu come una soglia, un ponte verso l’inesprimibile in un “eterno interesse a cogliere e fissare, sia pure il tempo di un istante […] il meraviglioso fenomeno del vivere e del sentire”.5